Foto: dal sito dell’artista: www.claudiolodati.com
Slideshow. Claudio Lodati
Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Claudio Lodati?
Claudio Lodati: Caspita! domanda difficilissima… proverò a rispondere brevemente: credo di essere una persona curiosa e quindi anche un musicista curioso, alla continua ricerca di stimoli diversi e sensazioni diverse, catturandole non sono attraverso la musica ma da ogni aspetto della vita.
JC: Hai qualche disco in uscita? Cosa stai facendo ora musicalmente?
CL: Negli ultimi tre anni sono stati pubblicati quattro dischi: il mio solo “Animal Spirit” ( il secondo disco in “solo” dopo “Secret Corners” del 2002 ) “Just Go There” insieme alla cantante Rossella Cangini, entrambi pubblicati dall’etichetta friulana Setola di Maiale di Stefano Giust. Ho partecipato ad un progetto e cd del percussionista romagnolo Stefano Calvano dal titolo “No Mads” insieme a Carlo Actis Dato e Irene Robbins. E, in ultimo, l’uscita pochi mesi fà del cd “Boiler” del mio rifondato gruppo Dac’Corda per la storica etichetta Splasc(h) rec. fondata da Peppo Spagnoli negli anni ’70 e ora diretta con grande passione e competenza da Luigi Naro. Dac’Corda è un quartetto con me e Nicola Cattaneo alle chitarre, Nicola Muresu al contrabbasso e Toni Boselli alla batteria.
JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
CL: Il ricordo è quello di mio padre che suona arie operistiche al pianoforte e gli ascolti, sempre di opere liriche, Puccini, Verdi, insieme alla mia nonna materna, attraverso una grande radio a valvole appoggiata su una mensola sul muro della cucina.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?
CL: Il mio percorso musicale inizia da bambino attraverso lo studio classico del pianoforte. Sono passato alla chitarra intorno ai dodici anni, le prime esibizioni alla scuola media inferiore. Poi gruppi dove suonavo Hendrix, Janis Joplin, Rolling Stones… parallelamente un mio zio bassista e chitarrista che lavorava nei night club, ogni volta che andavo a casa sua mi faceva ascoltare ore e ore di jazz. Ma la svolta decisiva è stato l’ascolto quasi casuale di una trasmissione serale di Rai radio3 dedicata al free jazz..Steve Lacy, Enrico Rava, Mario Schiano, Marcello Melis, Art Ensemble of Chicago…un vero shock! avevo capito in un attimo quale sarebbe stata la mia strada, libertà nella musica…
JC: E in particolare un chitarrista jazz?
CL: Questo mio zio aveva una grande collezione di dischi di Wes, Barney Kessel, Tal Farlow, Franco Cerri ma anche Santo & Johnny…
JC: Ma cos’è per te il jazz?
CL: Da tempo ormai penso che la parola jazz abbia perso il suo significato iniziale di musica libera, rivoluzionaria. Oggi la parola jazz nel sentire comune riporta più facilmente a sottofondo per aperitivi o a inutili e sterili jam session, dove, nella maggior parte dei casi, la vera creatività viene soffocata a favore di un conformismo musicale.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
CL: Il jazz dovrebbe essere una palestra e un’opportunità per sperimentare nuove intuizioni, non credo che si debba affrontare con lo stesso metodo e sentimento con cui ci si avvicina alla musica classica. Questo concetto cerco sempre di veicolarlo ai miei allievi, spronandoli a cercare, a sperimentare.
JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
CL: Altra domanda difficilissima…dal 1977 ad oggi ho registrato 33 dischi e non è facile fare una scelta. Potrei dire il primo, Art Studio pubblicato in vinile nel 1977, e l’ultimo, Boiler realizzato con il gruppo Dac’Corda quest’anno in compact disc. Il primo perché avevo solo ventitré anni ed è stato l’inizio di tutto e l’ultimo perché sono ancora qui quarant’anni dopo e anche perché Art Studio e Dac’Corda sono i progetti più longevi della mia ormai lunga attività.
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
CL: Electric Ladyland, The Jimi Hendrix Experience! C’è tutto: creatività, sperimentazione, un suono pazzesco.
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
CL: Da ragazzo leggevo Bertrand Russell, Herman Hesse, oggi adoro Murakami, a diciotto anni avevo già visto quasi tutti i film di Bunuel, Bergman, Pasolini, nella musica i grandi del rock: Rolling Stones, Hendrix, Led Zeppelin, Pink Floyd, James Brown… ma ho anche sempre cercato e spesso trovato nella quotidianità stimoli e ispirazioni da persone, musicisti sconosciuti ascoltati per caso in giro per il mondo.
JC: E i chitarristi ti hanno maggiormente influenzato?
CL: Devo nominare ancora l’immenso Jimi Hendrix, musicista creativo, ha reinventato la chitarra elettrica, in lui era forte l’istinto all’improvvisazione, talvolta free, molto vicino allo spirito del jazz. Mi piacciono molto chitarristi come Marc Ducret, Adrian Belew, Jeff Beck, Derek Bailey, Marc Ribot, Bill Frisell, impossibile non ricordare Charlie Christian, Jim Hall, Wess Montgomery e tanti altri. Credo però che in assoluto uno dei musicisti che più mi ha ispirato e influenzato sia stato un non chitarrista, Ornette Coleman, che ho ancora avuto il piacere di ascoltare dal vivo pochi anni fà a Genova.
JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?
CL: Molto male. da una parte emergono sempre più musicisti, tavolta anche con idee interessanti che meriterebbero di essere sviluppate e supportate, dall’altra un panorama sconfortante fatto di tagli alla cultura, di privatizzazioni selvagge, Festival cancellati, giovani che vanno a suonare per un tozzo di pane, se non addirittura gratis: purtroppo non è un fatto isolato italiano ma più generalizzato.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
CL: Sto lavorando alla promozione dei miei due progetti attuali più importanti, Plot e Dac’Corda, ma anche al mio concerto in solo, che con piacere ho recentemente presentato alla stagione concertistica del Conservatorio A.Vivaldi di Alessandria, dove ho attualmente la cattedra di chitarra jazz.