Edition Records – EDN1094 – 2017
Django Bates: tastiere, cori, arrangiatore, direttore
Stuart Hall: chitarra elettrica, chitarra acustica, lap steel, sitar elettrico, violino
Eggs Laid By Tigers:
Martin Ullits Dahl: voce
Jonas Westergaard: basso elettrico, cori
Peter Bruun: batteria, percussioni, cori
Frankfurt Radio Big Band (hr-Bigband):
Heinz-Dieter Sauerborn: sax soprano, flauto, clarinetto
Oliver Leicht: sax alto, flauto, clarinetto, clarinetto alto
Tony Lakatos: sax tenor, flauto
Steffen Weber: sax tenore, alto flauto, clarinetto basso
Rainer Heute: sax baritone, sax basso, clarinetto, clarinetto contralto
Frank Wellert: tromba
Thomas Vogel: tromba
Martin Auer: tromba, flicorno
Axel Schlosser: tromba, flicorno
Günter Bollmann: trombone
Peter Feil: trombone
Christian Jaksjø: trombone
Jan Schreiner: trombone basso
Martin Scales: chitarra elettrica
Sgt. Pepper compie cinquant’anni. Se l’impatto immediato ne ha attestato sin da subito lo status di riferimento, basta considerare l’aneddoto della cover hendrixiana alcuni giorni dopo l’uscita, nel corso di questi cinque decenni il disco dei Beatles è diventato una pietra miliare imprescindibile per la storia musicale del Novecento. Che piaccia o meno, che si amino o meno i Beatles, è abbastanza condivisibile il fatto che ci sia un “prima e dopo i Beatles” e, in particolare, un “prima e dopo Sgt. Pepper”.
Django Bates si misura con il disco secondo una formula ampia e variopinta. La dimensione orchestrale della Big Band è forse una delle poche risposte possibili al problema di riprodurre in una situazione live le architetture pensate dai Beatles. Le specifiche sonore e la possibilità di movimento del gruppo rock, poi, sono affidate alla formazione danese degli Eggs Laid By Tigers, un trio che già nel nome porta una dimensione traversale e sghemba. E, infine, Bates mette al centro della tavolozza sonora il suono della chitarra elettrica con la presenza di Stuart Hall e, nelle fila dell’orchestra, di Martin Scales. Il suono è perciò orientato al rock anche se cerca di mantenere le dinamiche dell’orchestra di fiati e gli spunti dell’improvvisazione. Se la formazione è concepita ad hoc a partire dal disegno della big band, l’attitudine costante è quella di rimettere sempre in gioco ogni intervento portato sul materiale di partenza. Lavorando in studio e sapendo che il materiale non sarebbe stato interpretato dal vivo, i Beatles avevano l’ulteriore vantaggio di “accendere” e “spegnere” ogni voce con interruttore, con l’unica preoccupazione del risultato sonoro scaturito dai vari incroci.
La struttura dei brani è rispettata in modo quasi fedele: le melodie, la durata delle singole tracce, i rumori presenti nell’originale, molti dei suoni caratteristici, la disposizione degli elementi principali vengono riportati secondo una visione che non stravolge le dinamiche complessive del disco. Il timbro sonoro dell’arpeggio iniziale di Lucy in the Sky with Diamonds è talmente connaturato nella mente di chi ascolta che, probabilmente, lo percepirebbe anche se non ci fosse e lo stesso vale per il conteggio ritmico che apre la ripresa di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band prima della fine del disco o le voci del finale di A Day In The Life o per tantissimi altri particolari. Bates non si sottrae a questo gioco e cerca di non subirlo: il suo lavoro consiste nell’aggiungere fili di colore diverso alla tessitura ben sapendo che la stoffa ha una sua solidità ed è diventata del tutto riconoscibile in questi anni senza perdere tropo smalto. L’intervento quindi non serve a rimettere in piedi (Sgt. Pepper funziona ancora oggi benissimo per fatti suoi) oppure a stravolgere l’originale ma ad offrire il proprio punto di vista e ad immaginare accenti differenti.
«Ogni canzone ha le “buone vibrazioni” e milioni di persone sono cresciute avendole percepite. Per tutto quello che ne so, mi sembra che questi suoni e le loro correlazioni potrebbero essere diventate una memoria comune che passa ad ogni nuova generazione attraverso i nostri geni.» La premessa riportata da Bates nelle note di copertina al lavoro rende evidente l’approccio e il percorso seguito nell’arrangiamento dei brani. Con questa disposizione umile e coraggiosa allo stesso tempo, Bates ha accettato repentinamente la commissione proposta dalla Frankfurt Radio Big Band per un progetto che viene poi condiviso anche con altri soggetti orchestrali europei, vale a dire la svedese Norrbotten Big Band, la Danish Radio Big Band e la finlandese UMO Jazz Orchestra. Bates riesce a plasmare la sua figura di visionario, la sua creatività, il sense of humour e la musicalità “anarchica” con piena applicazione e understatement: avendo dimostrato altrove quanto possano essere “alternative” le sue interpretazioni e la sua scrittura, in questo caso non rincorre il gusto del cambiamento fine a sé stesso ma punta a cercare nuove fonti di luce per illuminare e sottolineare i vari livelli di suono e di immaginazione presenti nel lavoro dei Beatles.«Quando si ascolta ripetutamente il disco, in dettaglio, si sentono i diversi strati del lavoro: alcuni sono nascosti, altri restano sotto traccia come ombre sotterranee di esperimenti, sovrascritti dalle esigenze finali di ogni canzone. La somma di tutti questi livelli è un capolavoro di scrittura, riproduzione, registrazione, missaggio e masterizzazione.»
Saluting Sgt Pepper rende omaggio e offre un tributo elegante e vivace: Bates attraversa i generi ma riconosce il valore dei singoli linguaggi, lascia la melodia a disposizione di chi la voglia cantare e, insieme, fa capire subito all’ascoltatore che l’ambiente non è esattamente lo stesso, instilla accenti e richiami, piccoli ma tenaci, che spostano sia pure di poco ma in modo sensibile i riferimenti e, soprattutto, con molta gentilezza e tatto ci invita a pensare e a non dare per scontato un disco come Sgt. Pepper.
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