Youn Sun Nah – She moves on

Youn Sun Nah - She moves on

ACT Music – ACT LP 9037-1 / ACT CD 9037-2 – 2017



Youn Sun Nah: voce, kalimba

Jamie Saft: pianoforte, organo Hammond, piano Wurlitzer, Fender Rhodes

Brad Jones: contrabbasso

Dan Rieser: batteria


con

Marc Ribot: chitarra elettrica, chitarra acustica (tracce 2, 4, 5, 7, 11)


ospiti in Too Late:

Maxim Moston: violino, arrangiamenti archi

Antoine Silverman: violino

Hiroko Taguchi: viola

Anja Wood: violoncello






La “migrazione” verso la East Coast (o almeno oltre Atlantico) da parte di svariati artisti orientali è un qualcosa cui si è assistito con frequenza almeno nell’ultimo biennio, avendo osservato così cimentarsi artisti dal profilo indipendente e molto differente tra cui Jo-Yu Chen, Yeahwon Shin, Dhafer Youssef o Jen Shyu (arruolando partner di netto valore); su questa falsariga ha inteso procedere la vocalist coreana, ora pressoché naturalizzata in terra francese (ove ha riscontrato successi anche clamorosi), ultimamente prodottasi con importanti partner europei (tra cui Lars Danielsson o Vincent Peirani), recidendo (almeno a quest’appuntamento) perfino il simbiotico e storico tandem con il brillante e solarizzato chitarrista svedese Ulf Wakenius, qui avvicendato (ma certo lungo ben differenti onde espressive) dal veterano Marc Ribot, sideman di punta in una band il cui ruolo chiave è imputabile al pianista Jamie Saft, che ha preso in carico l’intero progetto fungendo anche da consigliere e produttore.


Attraente sul piano ideativo e produttivo, She Moves On diverge da quanto già apprezzato nel precedente e intimistico Lento, non fosse per la diversità letteraria dei materiali assemblati, sorta di personale songbook che arruola firme diversamente iconiche quali Joni Mitchell, Lou Reed, Paul Simon e Jimi Hendrix: se la prima viene abbordata (in The Dawntreader) con affinità di compunto calore, la pop-hit Teach the gifted children è riproposta in termini piuttosto letterali, dell’eponima She moves on di Simon viene ripresa con modalità più blande la carica ritmica ma non registrandovi grossi apporti creativi in termini vocali, al mondo psich-rock dell’ultimo (Drifting) si tributa uno dei passaggi più spettacolari, ma in buona parte grazie all’impegno strumentale, efficace nel ricreare un sound rappresentativo e tonificato dalle lunghe e scintillanti sortite della chitarra solista di Ribot.


L’ascolto ritrova invece nei più raccolti passaggi dell’album la vena probabilmente più caratteristica della vocalist, sensibile e temperata, tali la lunare No other name o A Sailor’s Life (di spunto orientalista e non lievi tinte New Age), che più propriamente lasciano emergere la cifra schietta e confessionale, con personale senso drammatico dell’artista coreana, di diafano e misurato fascino.


Se l’operazione può (non solo ad un primo ascolto) non attingere ad un completo grado di persuasività, sembra da ascrivere all’approccio vocale più volte timido e prudente di Youn, non apparendo il carico dei materiali abbordati del tutto alla portata di un carattere interpretativo di quota intimista e blandamente grintoso: per lo più latitando un’autentica voglia di osare e superarsi, si persegue lo stile della sensibile solista, che nei passaggi più consoni si conferma improntato a garbo ed equilibri sottili, oltre ad una non vaga quota di reticenza espressiva, lasciando a questa esperienza discografica, certamente rivedibile, almeno il merito di aver tentato un motivato passaggio al di fuori della propria “comfort zone” espressiva.



Link correlati:

www.younsunnah.com

www.youtube.com/watch?v=MZ2lJu-ewZQ