Warner Music – 2017
Antonio Faraò: pianoforte, tastiere
Ci sono dei momenti, nella vita di un artista, in cui c’è voglia di cambiare e quindi di sperimentare qualcosa di completamente diverso da quanto finora svolto: è appunto il caso recentissimo del cinquantenne pianista romano, che con questo lavoro dà vita a un sound eclettico nell’abbracciare il discorso elettrico, come vorrebbe il neologismo che dà il titolo all’album medesimo. Dopo dieci album di jazz ‘ortodosso’ – Black Inside (1998), Borderlines (1999), Thorn (2000), Far Out (2002), Encore (2004), Takes on Pasolini (2005), Woman’s Perfume (2008), Domi (2010), Evan (2013), Boundaries (2015) – in compagnia anche dei grandi del jazz Made in USA (Joe Lovano, Bob Berg, Drew Gress, Chris Potter, Ira Coleman, Jeff Tain Watts, Jack De Johnette) o in Europa (André Ceccarelli, Daniel Humair, Miroslav Vitous, Dominique Di Piazza), ecco che Antonio Faraò sforna un disco di smooth jazz con l’obiettivo di incrementare il proprio inconfondibile pianismo dal bebop classicamente raffinato con alcune ballabili sonorità giovanili. Non a caso, come Antonio racconta in diverse interviste, disco si chiama Eklektik, in quanto sedotto da generi eterogenei quali bossa nova, hip hop, r&b, rap, con la differenza questi stili un po’ commerciali vengono fatti dal deejay, mentre il disco è il risultato di musicisti che suonano assai bene, talvolta legati alla storia del jazz come Marcus Miller (basso), Didier Lockwood (violino), Bireli Lagrene (chitarra), Lenny White (batteria), Manu Katché (percussioni), oltre ai noti Snoop Dogs e Krayzie Bone (autentici rappers) e a molti altri ospiti. Il primo brano, chiamato semplicemente Intro, è infatti una premessa totalmente elettronica grazie al contributo vocale di Robert Davi, il secondo Line, sostenuto appunto da una linea (quella del basso) vede il “parlato” (un intervento di Bone) seguito da un bel solo del leader, mentre il terzo, I Send You, con un ritmo binario ripetitivo, dal funky un po’insistente, veleggia per fortuna controvento quando interviene il piano elettrico, in uno stile tra Chick Corea e Ramsey Lewis. Proseguendo nell’ascolto, il quarto brano, Motion, sceglie la forma della ballad, pur modernizzandola con discreta vivacità ottenuta sempre dal lavoro tastieristico e dal drumming di Mike Clark dei tre ospiti; il quinto, Europe, cominciando da poche note soul-jazz dello stesso Faraò, si spalanca al cantato disteso di Claudia Campagnol in mid-tempo (che rhythm section con Muller e Katché!) a riaffermare il generale eclettismo dell’intero album, il sesto, News From, è al contrario rappeggiante su cadenze più tranquille, quasi un incontro pacifico tra jazz ballad e neo hip hop (e questa volta intervienew addirittura Snoop Doggy Dogg). Arrivati a metà Quiet, settimo brano, campionando situazioni da jazzrock storico, sono come un furbetto omaggio al crossover americano, mentre i tre successivi (ottavo, nono, decimo) vedono ancora lo zampino di Katché, nonché in Part Of You vede ancora il contributo della suadente voce femminile di Campagnol per una canzone soul-fusion, contrappuntata con eleganza da Faraò; grazie al batterista francese Frammenti ha un incedere abbastanza onirico, mentre Nueva Quarto è un tributo indiretto al latin jazz. Infine, da un lato l’undicesimo, Through The Day (scritto a otto mani) vede la voce maschile di Walter Ricci muoversi nel “terreno intermedio” tra crooner e bluesman, dall’altro Rough con tre ospiti celeberrimi – vale a drie, Didier Lockwood, Bireli Lagrene e Lenny White ai quali si aggiunge anche il sax alto di Luigi Di Nunzio – pare finalmente avvicinarsi alla recente grande tradizione della fusion music degli anni Settanta, di cui Antonio interpreta da par suo la lezione del pianismo elettrico.