RaRa Records – PHM170114TR – 2017
Gionni Di Clemente: chitarre, oud, bouzouki
Domenico Candellori: percussioni
Giuseppe Franchellucci: violoncello
Greg Burk: tastiere, moog
Triat è la formazione composta da Gionni Di Clemente (eccellente tessitore di trame alle corde di ogni tipo), Domenico Candellori (percussionista dagli ampi orizzonti trasmigranti verso i suoni dell’est), Giuseppe Franchellucci (maestro di violoncello, ottimo interprete di musica da camera e contemporanea) e Greg Burk (pianista statunitense di acclarata fama, da tempo residente a Roma).
Con queste premesse è lecito aspettarsi da questo In a Dense Fog risultati non indifferenti.
Le storie individuali dei musicisti indirizzano sull’apertura verso orizzonti illimitati. E questo traspare dalle prime note del disco, quando lievita al nostro ascolto un suono quasi ancestrale che nel prosieguo del brano incontra sonorità indubitabilmente elettroniche, come se (per i meno giovani…) i suoni italiani anni ’70 degli Aktuala si mescolassero con le sperimentazioni del Progressive della stessa epoca. Si resta piacevolmente incuriositi andando incontro agli altri brani del lavoro, che successivamente alterna un brano cantabile, ispirato, quieto e dominato impareggiabilmente dal violoncello (magnifico) e dalle chitarre, seguito da un successivo pezzo di suoni sospesi e dilatati da effetti funzionalissimi alla creazione di una atmosfera misteriosa. Le chitarre di Di Clemente si alternano al bouzouki ed all’oud e ci proiettano (specialmente nella dilatata Afida) verso i mercati del nord africa o dell’Asia Minore. Qui il musicista mostra e presenta un’abilità ed una sensibilità allo strumento davvero non comuni. Più avanti il disco presenta soluzioni più sperimentali, talvolta riuscite ed in altri momenti un po’ meno; sempre considerando l’originalità di suoni e soluzioni davvero particolari che fanno comunque di questo lavoro un oggetto abbastanza raro, musicalmente parlando, e degno di essere ascoltato e riascoltato. Ipnotico e cinetico l’andamento di Magmatea, uno dei pezzi migliori, mentre le tre brevi tracce denominate Fluxus, fanno da frecce indicatrici del percorso del disco, che si chiude con Danza degli spiriti, favolistico epilogo d’insieme.
Segui Jazz Convention su Twitter: @jazzconvention