Foto: la copertina del libro
Guido Michelone. Il Michelone
Melville Edizioni. 2017
Guido Michelone si dedica alla compilazione di un compendio del jazz mondiale, lungo tutto il secolo intercorso dalla pubblicazione di Livery Stable Blues della Original Dixieland Jazz Band allo scorso anno, attraverso un fuoco di fila delle recensioni pubblicate nel corso degli anni. Come afferma lo stesso autore nella premessa, la compilazione riflette una «scelta dei dischi su cui scrivere risulta assai variegata, per non dire molto eterogenea, soggetta insomma agli ordini impartiti da redattori o direttori».
E quindi, in base alla stringente casualità dell’ordine alfabetico, si alternano titoli di varia provenienza e natura, recensiti secondo formule diverse per conseguenza degli spazi concessi dalle testate per cui all’epoca erano stati pubblicati i testi: recensioni vere e proprie, articoli in occasione di anniversari, riflessioni. Come ogni compilazione, sono rimasti fuori alcuni titoli che avrebbero potuto avere cittadinanza all’interno dalle pagine ma diventa difficile, dopo un secolo, non correre questo rischio nonostante il numero davvero cospicuo di lavori trattati: i milleduecento dischi selezionati da Michelone raccontano, in ogni caso, come si sia evoluto il jazz e come i linguaggi che lo innervano abbiano preso strade molto diverse tra loro. Gli accostamenti, anche spiazzanti dettati dalla scaletta alfabetica, aiutano, per paradosso, a confrontare autori e dischi nel momento in cui si procede a una lettura “tradizionale” del libro. L’obiettivo di Michelone non è, però, quello di tracciare una storia o trovare un filo narrativo nella vicenda del jazz quanto mettere a disposizione del lettore una chiave per collocare i titoli che dovesse cercare: la scelta di ricorrere a delle recensioni già pubblicate, in un certo senso, offre il fianco alla parzialità del momento e del contesto in cui il testo era stato prodotto, restituisce però, allo stesso tempo, una “versione militante” dello scrivere di jazz.
L’intenzione di inglobare quanti più titoli porta a non includere dettagli informativi, come musicisti presenti nei dischi, brani suonati e cose di questo genere: è una scelta giusta, visto che oggi è possibile recuperare queste e moltissime altre notizie e, quindi, lo spazio risparmiato consente di tagliare qualche titolo in meno. E, d’altronde, il volume è già abbastanza corposo così e contiene uno spettro senz’altro significativo del jazz pubblicato negli anni, tenendo in considerazione le scene più rilevanti e senza rimanere agganciato alla centralità del ruolo degli Stati Uniti. Il tutto con il tono gentile con cui Michelone normalmente commenta i fatti musicali.
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