Bernstein. Gershwin. Ellington. La Filarmonica Toscanini, diretta da John Axelrod

Foto: Luca Trascinelli per gentile concessione Ufficio Stampa Fondazione Arturo Toscanini










Bernstein. Gershwin. Ellington. La Filarmonica Toscanini, diretta da John Axelrod

Parma, Auditorium Paganini – 15.2.2018

Leonard Bernstein nacque cent’anni fa. A questo grande musicista che nel corso della sua carriera si è sempre mosso liberamente fra accademia e musica popolare, lasciando in entrambe marchi di fuoco, la Fondazione Toscanini ha voluto rendere omaggio con una serata scintillante e leggera (in senso calviniano), ricca di cultura e suggestioni.


A dirigere la Filarmonica parmense è stato John Axelrod, allievo del maestro di West Side Story. Il programma è partito con Prelude, Fugue and Riffs per solo clarinetto e jazz ensemble, per proseguire con un altro brano di Bernstein, i Three Dances Episodes per orchestra. E già questi primi venti minuti di musica hanno riscaldato il pubblico. In grande evidenza il clarinettista Daniele Titti nel primo brano, una pagina che dice moltissimo sull’apertura mentale del compositore ebreo newyorkese, sul suo interesse non superficiale per la musica afro-americana.


Non a caso il programma è proseguito con la mai troppo ascoltata Rhapsody in Blue, con Maurizio Baglini come solista. Una interpretazione asciutta e priva di retorica, nella quale si avvertivano echi della storica incisione nella quale Gershwin propose il suo brano con l’orchestra di Paul Whiteman. Come bis personale Baglini ha proposto un brano dalle “images” di Debussy, nel quale ha fatto risuonare, in omaggio allo spirito della serata, echi di musiche brasiliane.


Il clou per un jazzofilo, ovviamente, è stato A Tone Parallel To Harlem di Duke Ellington (Scritto su commissione di Arturo Toscanini) riproposta nella versione per grande orchestra sinfonica arrangiata da Luther Henderson. Un pezzo particolarmente interessante, soprattutto alla vigilia della prossima uscita del saggio di Luca Bragalini sul “sogno sinfonico” del Duca. Il risultato è stato gradevolissimo. Certo in termini di colori, di mistero ritmico, ogni versione “classica” di questo brano toglie qualcosa alla fragranza delle versioni per big band, ma si parla comunque di dettagli, di prime impressioni di un ascoltatore “ideologicamente” orientato.


Il dato vero è che tutto il concerto, chiuso dalle Symphonic Dances di West Side Story è stato avvincente, fresco, ricco di spunti di riflessioni. A sollecitare la curiosità dell’ascoltatore sono state anche le splendide pagine del programma di sala, orientate a stabilire i tanti legami fra gli autori proposti, fra musica “colta” e popolare. Per ogni brano proposto erano indicati non solo l’anno della prima esecuzione ma anche gli avvenimenti storici e le uscite letterarie di quell’anno stesso. Se proprio si deve fare un piccolo appunto, si potrebbe dire che sarebbero stati interessantissimi anche i sincronismi con il cinema. D’altronde tutti i brani richiamavano New York, la città più raccontata dal cinema. E la musica ascoltata evocava atmosfere cinematografiche. Ma anche qui si parla di dettagli.


Applausi convinti alla fine. Il cronista ricorda un’accoglienza molto tiepida, una decina di anni fa, dei melomani parmigiani, tributata a Porgy And Bess, giudicata troppo distante dallo spirito del melodramma classico europeo. Magari qualcosa è cambiato.



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