Glauco Venier. La forza evocativa della musica per immagini

Foto: Glauco Comoletto










Glauco Venier. La forza evocativa della musica per immagini

È uscito da pochissimo il nuovo progetto della cantante Norma Winstone, Descansado – Songs for Films, per l’etichetta tedesca ECM Records. Abbiamo avuto il piacere di di incontrare il musicista e pianista Glauco Venier che da dieci anni fa parte di questo importante trio, in compagnia di Klaus Gesing al clarinetto basso e sassofono soprano. Per questo album si sono aggiunti anche l’italiano Mario Brunello al violoncello e il norvegese Helge Andreas Norbakken alle percussioni.



Jazz Convention: Il progetto è dedicato alla reinterpretazione di una serie di brani tratti da colonne sonore di pellicole molto famose. Gli arrangiamenti sono stati curati da te e da Klaus Gesing. Come è nata e da chi è partita l’idea?


Glauco Venier: È da circa 18 anni che collaboro con Norma e dal 2008 che è nata la collaborazione con l’etichetta discografica tedesca ECM Records, abbiamo prodotto tre dischi come trio. Ad un certo punto, parlando con lei, ho pensato che bisognasse inventarsi qualcosa di nuovo, di diverso, che non contemplasse semplicemente dei nostri brani originali. Lo spunto era di creare un’idea accattivante visto che l’album sarebbe uscito per una etichetta importante che produce una sessantina di album all’anno. Manfred Eicher, fondatore dell’ECM, è spesso qui in Friuli (è di casa) poiché viene a registrare nello studio discografico Artesuono di Stefano Amerio in provincia di Udine. Davanti ad un buon bicchiere di vino gli ho accennato il mio piano, tra l’altro lui è un appassionato di cinema e detiene i diritti dei film del regista Jean-Luc Godard.



JC: Se non ricordo male, infatti, l’etichetta tedesca aveva fatto uscire due colonne sonore originali del cineasta francese tratte dal documentario Histoire(s) du Cinèma e dal lungometraggio Nouvelle Vague.


GV: L’intenzione era quella di evidenziare la relazione tra registi e compositori e, come questi ultimi, possano divenire camaleontici e cambiare pelle a seconda dei cineasti con cui collaborano: in breve come siano in grado di mutare completamente stile. Due esempi significativi sono Nino Rota e Bernard Hermann: Rota con Franco Zeffirelli ha un particolare stile che si modifica totalmente quando collabora con Federico Fellini; il medesimo discorso vale per Bernard Hermann con Alfred Hitchcock oppure con Martin Scorsese. Manfred è rimasto favorevolmente impressionato dalla mia proposta tanto che, in sede di registrazione, improvvisamente, mi ha chiesto di trascrivere, tra una seduta e l’altra, tra una cena ed una colazione, il brano Vivre sa vie di Michel Legrand, tratto dall’omonimo film di Godard. Manfred è fatto in questo modo: tu arrivi con un repertorio e lui interviene sconvolgendo i tuoi piani, è una fonte inesauribile di idee, inoltre ha la straordinaria capacità di frenare l’ego dei musicisti. Personalmente trovo tutto ciò molto stimolante, i musicisti in generale si dedicano in maniera assidua allo studio per migliorarsi ma a volte si fissano solo sullo strumento. Quando conversi con lui è in grado di farti sentire quello che noi studiamo da una prospettiva assolutamente inedita.



JC: Trovo molto allettante lo spunto di accostare compositori e cineasti che spesso sono legati a filo doppio, qualche esempio: Nino Rota con Fellini o Krzysztof Komeda con Roman Polansky. Nella scelta dei brani ho notato una forte presenza di compositori italiani: Trovajoli, Morricone, Rota, è stata una tua decisione oppure è scaturita discutendo con gli altri membri del gruppo?


GV: Fuori dai denti ti dico che, visto che erano quattro anni che non entravamo in sala di incisione e, a mio avviso, era il momento di farlo, ho accennato agli altri i miei propositi ed il fatto che ne avevo già discusso con Manfred e lui era entusiasta del progetto e voleva che iniziassimo subito a lavorare. Sembrava un po’ l’introduzione della classica barzelletta del tedesco, dell’italiano e dell’inglese… Ho pensato di proporre ad ognuno di portare quattro brani legati alla propria tradizione musicale, al proprio paese, cosi con dodici tracce il disco era completato. Purtroppo però i mesi passavano e non arrivava nessun feedback da parte di Norma e Klaus. Ci siamo sentiti e Norma mi suggerito l’idea di due tracce: His Eyes, Her Eyes di Michel Legrand, tratto dal film “Il Caso Thomas Crown” di Norman Jewison e Lisbon Story, dei Madredeus, tratto dall’omonimo film di Wim Wenders. Tutti gli altri motivi sono miei, mi sono guardato in giro e sono spuntati fuori gli italiani, forse è scattato un po’ di sciovinismo, tra gli altri ho inserito anche il compositore Dario Marianelli che adoro in assoluto. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, lui è di Pisa ma vive a Londra da diversi anni, ha vinto un premio Oscar per la colonna sonora del film Espiazione del 2008 tratto dal libro di Ian McEwan. Per l’album ho optato però per il brano Meriton Townhall tratto dalla colonna sonora del lungometraggio Orgoglio e Pregiudizio del 2006. Sono due capolavori. Dario ha un controllo dell’arrangiamento, un dono melodico ed un modo di scrivere per pianoforte veramente unici. Gli ho chiesto perché non è tornato in patria, mi ha risposto che l’Italia della musica si è dimenticata di lui ed invece in Gran Bretagna gode di una enorme fama ed ha pure vinto un Oscar, quindi…Tra l’altro lui è anche uno stretto amico di un talentuoso pianista classico italiano, Maurizio Baglini, che è riuscito ad averlo come ospite d’onore, in una serata dedicata alle sue musiche per il cinema, tenutasi al Teatro Comunale Verdi di Pordenone con l’accompagnamento dell’Orchestra Roma Tre diretta da Luciano Acocella.



JC: Dopo aver selezionato il materiale, hai iniziato la fase di arrangiamento vera e propria, come si è sviluppato tale processo?


GV: Ho tentato di immaginarmi il suono del nostro gruppo, la fatica è stata scrivere, gettare via e riscrivere ed arrivare in studio con il lavoro completo. Devi sapere che quando vai in studio la situazione che piace di più a Manfred è che tu arrivi con delle idee chiare. Lui fondamentalmente è un visionario che si serve del gruppo come suo strumento musicale e quindi modifica, distrugge, ricostruisce: si diverte. Se però ti presenti comportandoti, scusami il termine, come un fricchettone, cioè non avendo concetti definiti e vuoi fare qualcosa di totalmente improvvisato allora lui si mal predispone: non c’è alcun problema a fare del Free jazz ma deve essere contestualizzato, d’altronde è Manfred che investe economicamente nel progetto.



JC: In effetti ciò che dici si coglie molto bene nell’ipnotico documentario Wenn Aus Dem Himmel… (Quando dal cielo…) del 2015 di Fabrizio Ferraro, che riprende le fasi delle registrazione dell’album “In Maggiore” della coppia Paolo Fresu e Daniele di Bonaventura. Manfred interviene concretamente suggerendo cambiamenti, si consiglia spesso con loro, è uno scambio alla pari. Sicuramente è uno dei pochissimi produttori che partecipa in maniera incisiva durante l’atto creativo. Probabilmente tutto ciò è da imputare al fatto che lui è anche un musicista e non solo un produttore.


GV: Hai perfettamente ragione, io ho la fortuna in Conservatorio di discutere con i miei allievi e tento proprio di illustrare che cos’è l’ECM, che cos’è un produttore. Dopo diversi anni mi ritrovo questi ragazzi che mi pongono proprio le questioni che volevo sentire: come è Manfred Eicher in studio? Come si organizza una seduta con personaggi così creativi? Questo è importante perché è semplice fare un disco se non hai nessuno che ti ascolta: è bene avere qualcuno che ti suggerisce quando le cose non funzionano.



JC: Il brano tratto dal tema del film Taxi Driver, composto da Bernard Hermann, a mio avviso, è stato rivisto completamente, o meglio, pare sia stato mutato radicalmente. In realtà, ad un più attento ascolto, sembra che tu ne abbia modificato solamente l’umore, mi sbaglio?


GV: Ho cambiato in effetti l’umore, la timbrica, il colore del brano. Nel motivo originale l’inizio è drammatico con la tuba che si muove e produce questo sol di basso che si muove tra un sol e un do, in termine tecnico è un normale secondo quinto in una tonalità di fa maggiore, che però lo rende cosi cupo che bisogna avere un orecchio molto fine per intuire quello che l’autore sta facendo in quel momento. Io uso il medesimo approccio ma con un’altra timbrica utilizzando sempre questo sol e do con i bassi del piano; ogni volta che Norma sente gli accordi mi dice: «Che meraviglia». Crea un senso di angoscia totale.



JC: In effetti lo script del film è stato composto dal famoso sceneggiatore Paul Schrader che in quel periodo era fortemente depresso a causa del matrimonio appena fallito e vagabondava di notte abusando spesso d’alcol. Forse è per questo che il lungometraggio (e la relativa colonna sonora) sono intrise di un’aurea angosciante


GV: A livello di scrittura ci sono dei punti, anche armonici, in cui si intuisce che Hermann voleva il sound di una jazz band ma non essendo un jazzista ha introdotto degli accordi che sembrano di jazz ma in realtà sono accademici. Proprio li sono intervenuto, ma si tratta di cose minime, l’ho avvicinato di più al mio mondo, al blues. È suggestivo il fatto che il compositore americano si sia messo in gioco e che sia, tra l’altro, l’ultima partitura che ha scritto prima di morire.



JC: Come mai la scelta di creare due versioni del brano Vivre Sa Vie? La prima con la splendida voce di Norma Winstone e l’altra solo strumentale, quasi una piccola epifania pagana della durata di poco più di un minuto che chiude l’album.


GV: Il brano solo strumentale è stata una scelta di Manfred, come se fosse il leitmotiv del progetto. Ha voluto che gli firmassi la partitura con una dedica: assurdo io che faccio una dedica a Manfred! Mi ha stupito ed ha aggiunto che quando sarebbe uscito l’album avrebbe fatto ascoltare questa versione a Jean-Luc Godard, era proprio soddisfatto di questo lavoro.



JC: Un’ultima domanda, come mai l’aggiunta, nel vostro ormai rodato trio, di Mario Brunello al violoncello e del norvegese Helge Andreas Norbakken alle percussioni, volevate un suono più corposo, più consistente?


GV: Parlando con Klaus, alcuni anni fa, c’era l’intenzione di collaborare con un violoncellista. Avevo appena tenuto un concerto a Bologna dedicato a Pasolini insieme a Mario Brunello e gli ho chiesto se era interessato, lui mi ha risposto: «Ho registrato per tutte le etichette di musica classica più importanti del mondo, ne mancava solo una, che tra l’altro è la mia etichetta preferita: si chiama ECM.» Ho pensato però che se inserivamo un altro strumento melodico ci sarebbe voluto un percussionista che sapesse fornire non solo l’impulso ritmico ma anche sviluppare del colore. La scelta è caduta su Helge Andreas Norbakken, che avevo ascoltato in un concerto a Gorizia con Maria Joao e Mario Laginha, insieme ad un violoncellista molto capace. Lo abbiamo interpellato ed è venuto con enorme entusiasmo. L’episodio che mi ha stupito è che durante la registrazione di due brani, in particolare Malena, usciti dalla cabina di registrazione, stava piangendo, si era commosso per l’interpretazione di Norma. Sono piacevoli soddisfazioni, è incantevole vedere il calore e le emozioni di persone con le quali collabori per la prima volta.



JC: Avete in previsione a breve un tour per promuovere l’album?


GV: Qui in Italia ti confermo la data del 3 luglio al Festival Jazz di Udine e poi ovviamente sul sito dell’etichetta ECM Records, www.ecmrecords.com, si trovano gli altri appuntamenti.




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