Slideshow. Elena Somaré

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Slideshow. Elena Somaré


Jazz Convention: Così, a bruciapelo in tre parole chi è Elena Somarè?


Elena Somaré: Fischiatrice, fotografa, filmmaker



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


ES: Il primo disco che adoravo e di cui ho memoria era di Paul Robson, che cantava con una voce bassissima e suadente The battle of Jericho, poi Jelly Roll Morton. Quando poi ho imparato a leggere, mia madre, al posto delle fiabe sonore, mi dava le opere e passavo interi pomeriggi ascoltandole tutte di fila, col libretto. Ancora oggi so a memoria interi atti della Norma della Boheme o della Traviata.



JC: Quand’è stata la prima volta in cui ti sei messa a fischiare?


ES: Ero piccola, forse avevo quattro anni. Mio padre fischiava e io lo imitavo. A sei anni già sapevo fischiare Casta Diva, davanti alle amiche di mamma, che mi esibiva.



JC: E in particolare quando hai iniziato “seriamente” con il fischio?


ES: Circa dieci anni fa, quando ho incontrato Lincoln Almada, un musicista bravissimo, dotato di una sensibilità particolare. Con lui ho iniziato un percorso di studio e poi di collaborazione. Infatti è lui il direttore artistico di tutti i miei progetti



JC: Ma cos’è per te il fischio?


ES: La mia voce più intima, la voce dell’anima.



JC: E cos’è per te la musica?


ES: Racconto, emozione, stupore. Non deve mai essere soltanto virtuosismo compiaciuto, deve toccare le corde segrete, mettersi in contatto con il nostro inconscio.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ al tuo nuovo CD Aliento?


ES: Aliento vuol dire soffio, respiro, alito, ma vuol dire anche afflato, quindi qualcosa che incoraggia, che dà gioia di vivere. Io lo vedo come il soffio vitale, perché per me fischiare è gioia, è un alito di vento che diventa musica. Questo mio secondo disco è, in fondo, è una prosecuzione del primo, che era un viaggio nella grande melodia napoletana, che ha influenzato la musica nel mondo. E Napoli, attraverso i Borbone di Spagna, ha sviluppato un legame con l’America del Sud.



JC: Tra i brani che hai inserito in Aliento ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?


ES: Li amo tutti, ma essendo una inguaribile romantica, forse quelli a cui sono più affezionata sono El dia que me quieras e Gracias a la Vida.



JC: Quali sono i maestri del fischio che ti hanno maggiormente influenzata?


ES: Non credo di aver subito influenze, capisco che può sembrare presunzione, ma mi sento unica nel mio genere. Poi naturalmente riconosco i grandi talenti. Forse il migliore è stato Alessandro Alessandroni, quello che fischiava nelle colonne sonore di Morricone per i western di Sergio Leone, ma anche Ron McCroby, un grande fischiatore jazz. E Daisy Lumini, che componeva ed era anche una bravissima cantante.



JC: E quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


ES: Nella musica l’ho già detto: Lincoln Almada, senza di lui non sarei arrivata a questi risultati. In generale, ho avuto la fortuna di crescere in mezzo agli artisti, perché mio padre era un pittore e mia madre, che è laureata in storia dell’arte, frequentava artisti, scrittori, registi. Sono cresciuta con Agnese De Donato, che mi ha iniziata alla fotografia, ma anche con Valentino Zeichen, con Giacometta Limentani e tanti altri.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato e amato quale porteresti oggi sull’isola deserta?


ES: Oddio difficilissimo sceglierne solo uno….forse le ouveture delle opere di Wagner.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


ES: Sono molti, sono quelli in cui vedo le emozioni, vedo la commozione negli occhi delle persone che mi ascoltano. Lo scorso anno, l’entusiasmo del pubblico coreano quando siamo stati al Tribowl Jazz Festival di Incheon mi ha dato un momento bellissimo.



JC: Tra le tue attività, c’è anche la regia di Jazz istruzione per l’uso che forse è la più bella trasmissione sull’argomento (molto meglio dell’analoga serie TV di Ken Burns). Cosa ricordi di quell’esperienza a oltre dieci anni di distanza?


ES: Grazie! È stata una vera impresa. Tutta completamente fatta in casa. Quando l’Espresso mi ha commissionato i dodici documentari avevo soltanto sei mesi di tempo per realizzarli. Massimo Nunzi curava i testi e le interviste ed io tutto, ma proprio tutto il resto. Ho messo su una casa di produzione nel nostro appartamento in modo da poter lavorare ininterrottamente. Due postazioni Avid per il montaggio. Due montatori e tre assistenti lavoravano a quello mentre io e un operatore giravamo le interviste e io cercavo il repertorio. 145 musicisti intervistati. Abbiamo lavorato per sei mesi, diciotto ore al giorno. Le mie figlie ci cucinavano e mio marito mi aiutava nelle riprese anche lui. E ci siamo divertiti infinitamente… Credo che questo si avverta anche guardando i documentari.



JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?


ES: Purtroppo la vedo male. È curioso che noi, che abbiamo insegnato l’arte al mondo intero e che potremmo vivere anche di quella, invece la bistrattiamo in questo modo. La musica non è veramente considerata neppure come materia d’insegnamento nelle scuole (tranne poche apposite sezioni). I musicisti spesso non vengono pagati, oppure ricevono compensi ridicoli, come se non dovessero vivere come tutti gli altri e pagare le bollette, come se non fosse un lavoro, peraltro molto difficile, che richiede anni di studio.



JC: E più in generale della cultura in Italia?


ES: I fondi alla cultura vengono regolarmente tagliati. Ci sono stati ministri che hanno avuto l’ardire di affermare che “con la cultura non si mangia”. Questa è la situazione in Italia… penosa, una vergogna.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


ES: Per ora sto portando in giro il nuovo album, che è appena uscito. Poi continuerò nella mia missione, aprire al suono dell’anima la testa della gente, far capire, dimostrare, che il fischio melodico può essere uno strumento d’incredibile intensità e capacità espressiva.



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