The Evolution of Piano Solo: Michele Francesconi rilegge il lavoro di Bill Dobbins

Foto: Fabio Ciminiera









The Evolution of Piano Solo: Michele Francesconi rilegge il lavoro di Bill Dobbins

L’Aquila. Conservatorio Alfredo Casella – 20.6.2018

In occasione delle attività promosse dal Conservatorio de L’Aquila per l’edizione 2018 della Festa della Musica, Michele Francesconi ha proposto il suo “dialogo” con il lavoro svolto da Bill Dobbins nel quarto volume del suo “Contemporary Jazz Pianist”. Per il testo, il docente statunitense ha realizzato ventiquattro variazioni su un tema costruito sulla stessa progressione armonica del celebre standard All of me, variazioni derivate dallo stile di altrettanti pianisti che si sono misurati in modo sostanzioso con il piano solo: l’obiettivo didattico è quello di mettere in luce, attraverso l’analisi, le singole peculiarità dei vari pianisti e il loro contributo allo sviluppo collettivo della pratica del piano solo. Michele Francesconi ha sollecitato quindi gli studenti impegnati in questo percorso ad approfondire i musicisti scelti, a studiare e ad eseguire le partiture realizzate da Bill Dobbins. Insieme agli studenti, inoltre, sono stati presenti sul palco anche i docenti Massimiliano Coclite e Massimiliano Caporale.


La scelta di Bill Dobbins ricade su Scott Joplin, Jelly Roll Morton, James P Johnson, Willie “The Lion” Smith, Earl Hines, Fats Waller, Teddy Wilson, Duke Ellington, Art Tatum, Meade Lux Lewis, Pete Johnson e Jimmy Yancey – per quanto riguarda la fase precedente al Be Bop – e su Thelonious Monk, Bud Powell, Oscar Peterson, Erroll Garner, Lennie Tristano, Bill Evans, Clare Fischer, Jimmy Rowles, Cecil Taylor, Chick Corea, Keith Jarrett e Richie Beirach per quanto riguarda i “moderni”.


La prova richiesta agli interpreti si sviluppa su diversi livelli e accosta lo studio all’esecuzione: ogni pianista che sale sul palco espone l’analisi e il lavoro fatto nel mettersi a confronto con il musicista preso in considerazione e, fatto non trascurabile, il tutto viene condotto tenendo presente la dimensione divulgativa, dal momento che l’incontro è stato anche aperto al pubblico oltre che agli altri studenti. Esempi e biografie, intenzioni stilistiche e si fondono in un filo che racconta, come chiosa il Dobbins, una vicenda collettiva: sono diverse le similitudini messe in evidenza dalle partiture e sono moltissimi i punti di contatto tra i vari campioni scelti, tasselli di un mosaico sempre in evoluzione e, soprattutto, sempre connessi l’uno all’altro secondo dinamiche profonde e ineludibili.


Le variazioni composte da Bill Dobbins sono sempre del tutto plausibili con gli stili e le attitudini dei pianisti scelti: diventano una ulteriore chiave per riflettere sulle vicende artistiche legate al piano solo e alle esperienze musicali dei pianisti analizzati. I ventiquattro solisti scelti dall’autore statunitense sono senz’altro tra gli interpreti più significativi di questo format, diventato nel corso della storia del jazz un vero e proprio banco di prova per i pianisti. Al punto da far emergere anche una lista di musicisti – Herbie Hancock, John Lewis, Andrew Hill e Horace Silver, tanto per fare alcuni nomi – che hanno puntato meno su questa pratica. L’intenzione, però, è proprio quella di sottolineare la quantità di contributi differenti portati da ciascuno ad un percorso comune. Il ritorno a più riprese, ad esempio, delle linee del Piano Stride, sia pure interpretate con le sensibilità diverse ed utilizzate con propositi differenti a seconda dei casi, è una traccia che esemplifica bene il “riciclo” continuo dei materiali. E la scelta di Francesconi di puntare su un lavoro simile offre agli studenti – ma anche, in generale, agli spettatori presenti – l’opportunità di ragionare in maniera aperta – “grandangolare” verrebbe da dire – per dare una lettura di insieme alla storia del piano solo nel jazz: una ricerca di legami che si sommano grazie alle personalità ma tolgono la parte più ingombrante e decisamente poco utile dei personalismi.


Un percorso didattico interessante, quindi, e utile per aggiungere punti di vista con attitudine pragmatica. Il gioco delle riletture e di uno sguardo mediato sulle caratteristiche dei singoli musicisti si combina con l’analisi a mente fredda delle linee tracciate durante le improvvisazioni, la rielaborazione ragionata degli approdi sicuri e dei colpi a sorpresa. Un esercizio di stile – per riprendere il titolo di un celebre libro di Raymond Queneau – che contiene uno spettro davvero ampio di possibilità e spunti di riflessione per i giovani pianisti e per tutti coloro che affrontano lo studio del jazz. Con l’aggiunta di una conduzione a più voci, infine, che offre un contraltare efficace al meccanismo messo in piedi da Bill Dobbins e rivisitato da Michele Francesconi.



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