Foto: Archivio Fabio Ciminiera
Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale
Loano – 23/27.7.2018
La quattordicesima edizione del premio Loano vede il debutto di Jacopo Tomatis come direttore artistico, che subentra al decano John Vignola. Il nuovo responsabile della manifestazione, nominato da pochi mesi, segue in larga parte la via della continuità, apportando, però, alcune modifiche piuttosto significative. Gli incontri del pomeriggio nello splendido scenario del lungomare, ad esempio, sono propedeutici al concerto serale e mai svincolati dallo stesso, come a volte avveniva in passato. In più si è istituito il premio per i giovani, under 36 con alle spalle un massimo di due dischi pubblicati. È, in generale, poi, l’aria che si respira a profumare di innovazione, di cambiamento, già da quel titolo programmatico, riGenerazioni, aperto verso il futuro, con agganci profondi , però, con la lezione dei predecessori.
Iniziano le danze, è il caso di dirlo, i Trouvers valdotèn, un autentico gruppo familiare, composto da padre, madre e dai due figli, sul palco dell’orto Maccagli. A loro è assegnato quest’anno il premio realtà culturale. Il quartetto dimostra, nell’esibizione, di intendere la ricerca come un punto di partenza imprescindibile, andando a scavare nel repertorio di ensemble attivi nella Valle, fra i quali si può menzionare il Coro S. Orso, un’istituzione per gli aostani. La musica proposta è gradevolmente melodica, ritmata e conquista la platea per il garbo con cui viene offerta dai quattro che cantano in francese, in prevalenza e in patois. Alla fine della prima parte inizia una seconda sezione dedicata ai balli popolari e il pubblico improvvisa figure coreutiche fantasiose che esprimono divertimento e complicità con i protagonisti della serata
Il giorno 24 si celebra La Macina, storica band marchigiana e il suo leader Gastone Pietrucci a cui è assegnato il premio alla carriera, cinquant’anni esatti sul fronte della musica tradizionale. Più tardi, nel suggestivo chiostro di S. Agostino, Pietrucci e i suoi danno lustro alle perle del loro canzoniere, passando da Sotto la croce Maria a La Cioetta, dai temi sentimentali e dolenti alle filastrocche per bambini con un retrogusto amaro e pungente. In particolare colpisce ancora una volta la voce evocativa, teatrale di Pietrucci, un autentico talento nella drammatizzazione dei testi poetici che prendono colore e forma nella sua generosa interpretazione.
A La Macina succede il duo Lo Guercio-D’Alessandro. Il cantante lucano, che si esprime artisticamente in napoletano, è un personaggio di stampo cantautorale che fa dell’ironia un suo punto di forza. Nella presentazione della scaletta del set Lo Guercio tira fuori invenzioni e batture del tutto irresistibili. «Come avrete capito noi portiamo avanti il discorso dei Pink Floyd. Non per niente la vacca sulla copertina di “Atom hearth Mother” è d’o paese soio…» azzarda indicando il partner. Per il resto si ascoltano un buon numero di pezzi dall’ultimo disco “Canti, ballate e ipocondrie d’ammore”, che riescono ad essere leggeri pur trattando a volte, argomenti non proprio disimpegnati. Accanto all’understatement nei toni e nei modi di Lo Guercio, si impone la verve e la capacità orchestrale di D’Alessandro. «Un organettista di questo valore non si sente spesso sui palcoscenici italiani», chiosa Lo Guercio e non si può davvero dargli torto.
Il mercoledì l’appuntamento è di quelli da non mancare per alcuna ragione. Dopo dieci anni torna a Loano Elena Ledda, premiata per il suo ultimo album “Lantias”, a dieci anni dal precedente eguale riconoscimento conferitole per “Rosa Resolza”, registrato con Andrea Parodi. La cantante sarda, dopo avere illustrato nel pomeriggio come si svolge il festival cagliaritano gemellato con quello loanese, intitolato proprio a Parodi, si esibisce alle 21.30 ancora al chiostro S. Agostino. Il gruppo che l’accompagna è di prim’ordine, con i fidi Palmas e Peghin alle chitarre e alla mandola, Silvano Lobina al basso elettrico, Andrea Ruggeri alla batteria, Simonetta Soro alla voce e l’ospite speciale Gabriele Mirabassi al clarinetto, ben noto pure agli appassionati di jazz. Vengono eseguiti molti brani dall’ultimo disco, ma anche vecchi motivi come Quando torni ( traduzione in italiano), dedicata a Fabrizio De Andrè. La Ledda si esprime con grazia ed energia in lingua sarda, ma il suo messaggio arriva diritto al cuore o alla mente a spettatori di qualsiasi latitudine. La sua è autentica world music, infatti, musica spalancata sul mondo e non relegata certamente nei confini ristretti di una regione insulare. I musicisti alle sue spalle costruiscono un’impalcatura ricca di umori e di nuances in cui risaltano gli interventi zigzaganti di un Mirabassi irrefrenabile con il suo strumento di ebano ondeggiante nell’aria. Al resto provvede la vocalist che esprime passione civile, sentimenti universali e orgoglio per le sue tradizioni in maniera calda e viva.
Il giorno successivo è festa in piazza con Il Canzoniere Grecanico Salentino. La formazione pugliese alterna la pizzica, in tutte le salse, a ballate romantiche e a canzoni a sfondo politico. Durante le fasi più movimentate, una parte del pubblico si lascia trasportare dal ritmo indiavolato e si lancia in danze sfrenate, fuori controllo. Si assiste, con le dovute proporzioni, così, ad una notte della taranta trasferita dalla Puglia alla riviera ligure. Il gruppo rivela una notevole carica, una potenza timbrica ben sostenuta nei ballabili e una abilità indiscutibile nel sottolineare le sfumature, i dettagli dei pezzi lirici. Interviene in alcuni momenti dello spettacolo Roberto Licci, padre di Emanuele, il chitarrista attuale, voce del Canzoniere negli anni ottanta e novanta. Si festeggia in questo modo una reunion all’insegna proprio della riGenerazione.
L’ultima data del festival è riservato alle speranze della canzone popolare nazionale. Cominciano Le Lame da Barba, gruppo premiato per “Loano Giovani”. Il quintetto dimostra subito di saperci fare, proponendo una musica dai richiami etnico-mediterranei mescolata con armonie contaminate dai sapori balcanici. Il tutto è filtrato da un linguaggio multiforme, che deve qualcosa al jazz e alla world music di migliore fattura. Gli arrangiamenti di motivi della tradizione, inoltre, sono svolti in maniera sofisticata e personale. C’è della stoffa in queste Lame, insomma. C’è molto lavoro di studio, di affilatura, trattandosi di “Lame“, dietro a quanto viene mostrato sul palco, indubbiamente.
Chiudono la rassegna i cuneesi Saber System, tutti under 20, che cantano in varie lingue, dall’occitano allo spagnolo, al francese, temi d’amore, di fratellanza e di libertà, Sulla pedana i cinque si agitano parecchio e invitano ripetutamente il pubblico ad alzarsi, a ballare, questo misto di folk autoctono, di africanità, di reggaeton, scandito con precisione metronomica dalla giovanissima Linda Oggero, martellante sulla sua batteria.
La rassegna Loanese si conclude con un grande successo di pubblico. Non sono mai sufficienti le sedie per ospitare quanti vogliano assistere agli spettacoli serali. Il livello qualitativo dei vari appuntamenti è mediamente alto, con alcune punte di eccellenza.
Non è stato invitato nel 2018, però, un grosso nome capace di riempire il Giardino del Principe, come è avvenuto in anni recenti con Piero Pelù, Capossela o De Gregori. Si è preferito, invece, cercare di essere coerenti con gli obiettivi del Premio, di ospitare e promuovere le giovani leve e di premiare i “vecchi” leoni. «Le radici profonde non gelano», come si legge nel depliant di presentazione dell’iniziativa. Proseguire su questa strada di rispetto per il passato e di spinta verso il rinnovamento sembra una buona premessa per un’edizione del 2019 che ci aspettiamo custodisca qualche ulteriore sorpresa.
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