Don Byron & Aruán Ortiz – Random Dances and (A)Tonalities

Don Byron & Aruán Ortiz - Random Dances and (A)Tonalities

Intakt Records – CD 309 – 2018



Don Byron: clarinetto, sax tenore

Aruán Ortiz: pianoforte





Attrattivo l’appaiamento di nomi in cartellone, line-up a sensazione che autorizza analogie con certe dualità tra “giovani leoni” della tastiera e “vecchie glorie” del solismo a fiato – e il corrispettivo più immediato andrebbe al recente cimento tra Wadada Leo Smith e Vijay Iyer, ma le più dirette impressioni ne attesterebbero una sensibile distanza in quanto a progettualità ed esiti.


Sorprende infatti ed in primis l’apparente smarcamento dalla glottologia del jazz odierno, con delle puntate di archeologia moderna su cui confluisce un certo gusto cameristico: su quest’ultimo potremmo in effetti esse stati preparati dall’ultima esperienza solistica del pianista di natali cubani, tale il carattere di Cub(an)im a firma dell’ormai autorevole Aruán Ortiz, disvelante il debito (e dichiaratamente la fascinazione) verso il patrimonio novecentesco del vecchio continente, ma ancor meno dovrebbe sorprenderci una tale sortita da parte del grande clarinettista originario del Bronx, sempre vòlto all’approfondimento formale anche grazie ad una solidissima tempra di storico del jazz, tutto ciò posto al servizio di esperienze musicali non prive d’implicazione partecipativa, tale il carattere politico già della prima esperienza discografica da leader (Tuskegee Experiments).


Un tangibile spirito cameristico è esplicitato appunto e con rigore dal duo già nell’introduttiva Tete’s Blues, pagante esplicito tributo alla fraseologia accademica europea del XX secolo, subito accodandosi alle scie ellingtoniane nell’arcaicheggiante Black and Tan Fantasy, recuperando l’esoterismo blando e minimalista del maestro iberico Federico Monpou (Musica Callada), innervandosi quindi su una solida forma bop nella byroniana Joe Btfsplk, volgendo all’astrazione nelle geometriche figurazioni ortiziane di Numbers.


Gustoso esercizio di stile, la tributaria Dolphy’s Dance accetta un prestito compositivo dalla grande Geri Allen, si sosta quindi con una ripresa piuttosto letterale da J.S. Bach (e ciò autorizzerebbe una qualche digressione sull’atteggiamento dei jazzmen statunitensi verso il patrimonio classico europeo, ma sconfineremmo alquanto!), non distaccandosi del tutto dal classicismo nell’ampio respiro d’ebano ed avorio di Delphian Nuptials (a firma di Byron), guadagnando attitudine di chiaroscurale libertà nell’ortiziana Arabesques of a Geometrical Rose, ed il duo si congeda in condivisione di firma nel sensibile e fervido spirito rappresentativo post-classicista di Impressions on a Golden Theme.


Rinunciando al (futile) quesito se il maggior apporto sia qui conferito dallo spirito di trasgressione composta del decano Byron o dall’atteggiamento di speculativa ricerca del più giovane Ortiz, l’ascolto dà ragione di un ponderato programma che non si concede distanza alcuna dal jazz, piuttosto approcciandolo dalle forme di confine o da aree parallele, e declinandone lo spirito con modalità non occulte ma non sempre immediate: concedendo probabilmente più allo scavo formale che al feeling, riesce comunque solido e convincente il debutto di un funzionale quanto interessante duo, che investe la propria simbiosi nel respiro e delle trame del dialogo.




Link correlati:

Sito web di Aruán Ortíz: www.aruan-ortiz.com

Aruán Ortíz & Don Byron en JAZZMADRID17: www.youtube.com/watch?v=SnHs7D9AmgI






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