Foto: la copertina del disco
Slideshow. Filippo Cosentino
Jazz Convention: Così, anzitutto, tre aggettivi che ti definiscono?
Filippo Cosentino: Curioso, riservato e perfezionista.
JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
FC: I primi ricordi in assoluto nella mia mente sono dei viaggi fatti in Panda (750L) con i miei genitori per andare o tornare dal Sud Italia in Piemonte con la musica che veniva dall’autoradio: dai classici italiani di quegli anni (siamo a cavallo fra Ottanta e Novanta) a Sciuri Sciuri, Calabrisella mia, tarantelle, canzoni napoletane. Ascolti che hanno con il tempo plasmato la mia idea di musica.
JC: E del jazz in particolare?
FC: Al jazz sono arrivato dopo un po’. Avevo studiato chitarra classica per diversi anni e a un certo punto ero stato incuriosito dagli ascolti della musica lusitana, spagnola, argentina e brasiliana e dal blues. Riguardo al jazz ho diversi ricordi legati a registrazioni di Louis Armstrong ma diciamo che il percorso che mi ha portato a volermi confrontare con la musica jazz è stato lungo e costellato di varie tappe. Oggi direi che la mia è musica contemporanea, influenzata dalla musica jazz cosi come da musica popolare, world music e anche dalla musica che usualmente definiamo classica. In ogni caso, credo che sia necessario arrivare al punto di esprimere nella maniera più sincera possibile la propria musica
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista?
FC: Principalmente la necessità di dedicare del tempo a me stesso, perché ho sempre trovato nella musica un grande potere taumaturgico e al contempo una possibilità di espressione artistica capace di abbattere differenze e divergenze, lavorando sulle similitudini e sull’empatia
JC: E in particolare un chitarrista?
FC: A casa girava una chitarra classica con la quale mio papà suonava le canzoni di Lucio Battisti, De André e altri cantautori a cui sono ancora oggi profondamente legato. Nel tempo ho imparato anche altri strumenti ma la chitarra non è mai stata in dubbio: affascinante, ermetica, suadente
JC: Come ti definiresti musicalmente? Un jazzman? O altro?
FC: Una persona con la possibilità di scrivere a riguardo di e far ascoltare la propria sensibilità grazie alla musica, se poi per farlo serve ricorrere allo stile compositivo tipico del jazz (o di quello che noi riteniamo lo sia), della forma sonata o altro rimane solo più un problema di conoscenza, ed è per questo che mi piace passare molto tempo a studiare
JC: Ma cos’ è per te il jazz?
FC: Oggi significa tantissime cose ed è difficile per me provare a darne una personale definizione senza evitare di confrontarsi con il fatto che è come chiedere ad un artista americano: che cos’è per te la canzone d’autore (intendendola alla maniera italiana)? Ci penso spesso e in questo periodo credo sia la possibilità di parlare la stessa lingua, o almeno una simile, in più punti del mondo. Un’occasione di condivisione, aggregazione e abbattimento di frontiere. Anche per questo con l’associazione che ho fondato oramai dieci anni fa (Associazione Milleunanota, su facebook Milleunanota Alba) siamo stati fra i primi ad ospitare in Italia e in Piemonte l’International Jazz Day aderendo sin da subito ai valori di condivisione e confronto culturale che questa Giornata Internazionale porta con sé.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica?
FC: In generale la musica mi deve coinvolgere sentimentalmente e, al contempo, anche essere possibilità di espressione delle proprie idee. Per quanto mi riguarda questo è avvenuto scrivendo e incidendo pezzi come Migranti, Tramuntanedda (sul disco Come hell or high water inciso insieme a Federica Gennai per Naked Tapes, dedicata alle terre d’origine della mia famiglia e in particolare a mio nonno Filippo), in La mia terra, Andromeda e Perseo (incise in Andromeda, prodotto e pubblicato per NauRecords)
JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
FC: Andromeda (NauRecords) come disco e unità nel suo complesso, e il brano L’astronauta che ho scritto e dedicato a mia figlia quando è nata, oramai quasi quattro anni fa. Ad Andromeda sono particolarmente legato perché è un lavoro che comprende tante cose: un lavoro sulla composizione che ho voluto portare avanti nel tempo in maniera particolare e che si estrinseca bene in particolare in Soul, Caught 22, La mia terra; la mia famiglia, la stima verso Gianni Barone e con la produzione che mi ha permesso di realizzare il disco, la condivisione in studio con bravi musicisti come Ekkehard Wolk, Andrea Marcelli e Johannes Fink ed ora la possibilità di girare l’Italia e tantissime Nazioni suonando la mia musica e incontrando tante persone felici di ascoltarla
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
FC: Porterei dei brani anziché dischi: Seven days of falling (Esbjorn Svenson Trio); If (Oregon), Lascia ch’io pianga (Handel dal Giulio Cesare), Flor de Liz (Djavan), Story for a stranger (Rejoicing, Pat Metheny), Mi sono innamorato di te (Tenco), La prima cosa bella (Nicola Di Bari), Mojo Pin e Last Goodbye (Jeff Buckley), Fragile (Sting), Americana (Keith Jarret), Waltz for Debby (Bill Evans)
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
FC: Leggo molto, ascolto tanto. Ora sto leggendo Noam Chomsky e poco prima avevo letto l’ultimo libro di Folco Quilici: si impara tanto cercando di aprirsi a idee e visioni del mondo differenti, e cercando di rimanerne equidistanti
JC: E i chitarristi che ti hanno maggiormente influenzato?
FC: Ah! Paco de Lucia, Al di Meola, Carlos Santana, Jimi Hendrix, Eddie Van Halen, Joe Satriani, Eric Clapton, Robert Cray, Wes Montgomery, Pat Metheny (acustico, assolutamente in Rejoicing e One Quiet Night), Dominic Miller e poi in Italia la mia generazione ha avuto la fortuna di avere esempi come Franco Cerri, Antonio Onorato, Peo Alfonsi, Paolo Angeli
JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
FC: Il momento della scrittura di un nuovo brano, nel mio studio; subito dopo viene il momento in cui mi rendo conto che il pubblico apprezza quello che ha sentito
JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
FC: I musicisti con cui si riesce a creare empatia e condivisione di idee.
JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?
FC: Ho una scuola di musica da quasi dieci anni (Dragonfly Studio, ad Alba in provincia di Cuneo) e c’è sempre molto interesse verso lo studio della musica così come c’è un numeroso pubblico pronto ad accogliere nuova musica.
JC: E più in generale della cultura in Italia?
FC: Viviamo nel tempo della specializzazione e anche in questo settore serve affidarsi ai professionisti, avremmo bisogno di tanti interventi di cui spesso si legge sui vari giornali. Potrei stare qui a scrivere cose più o meno ovvie, molte già sentite, ma dobbiamo, anziché pensare a queste cose che non portano da nessuna parte, concentrarci su come tornare a conoscere la storia, culturale e non, del nostro Paese e far capire che la cultura può essere un lavoro perché se produce reddito inevitabilmente produce anche interesse. Nel mondo c’è molto interesse verso la cultura italiana, sta a noi mantenerlo tale anche parlandone in famiglia ai nostri figli
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
FC: Per ora sono del tutto concentrato sulla promozione del disco Andromeda (NauRecords) pubblicato il 29 giugno e per ora presentato in Italia, Cina, Hong Kong e presto in Germania e Oltreoceano. Nel frattempo studio sempre, migliorare deve essere una prerogativa inevitabile
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