La danza nello spirito del Talos Festival

Foto: Fabio Ciminiera










La danza nello spirito del Talos Festival

Incontro con Giulio De Leo

Talos Festival, Ruvo di Puglia – 9.9.2018

Già dalla passata edizione, il Talos Festival aveva proposto un percorso legato alla danza contemporanea con Giulio De Leo e la Compagnia Menhir. Quest’anno, questo filo è diventato ancora più saldo e ha coinvolto in modo significativo le persone di Ruvo come protagonisti dei laboratori di danza e, di conseguenza, degli spettacoli e come spettatori partecipi e attenti. Nell’ultimo giorno del festival, abbiamo chiesto Giulio De Leo di raccontarci il progetto Talos Danza.



Giulio De Leo: Il Talos ha sicuramente una spinta forte nella sua storia, nel legame con la tradizione musicale che coltiva e nell’innovazione espressiva che sviluppa. Come frequentatore del Talos, come figlio del Talos, come amante del Talos e del mondo creato da Pino Minafra, vivevo come incomprensibile il fatto che ci fossero cittadini di questo territorio che non sentissero questa manifestazione come una “cosa propria”: vivevo questo fatto come una frustrazione. Quando mi è arrivata la proposta, mi sono ricollegato a quel sentimento, ho accolto una proposta che attecchiva in un terreno già pronto: avevo già avuto modo di lavorare nella modalità in cui poi ho deciso di connotare il progetto coreografico per il Talos. Se, da una parte, ho sentito il bisogno di riavvicinare me stesso attraverso il mio percorso artistico al Talos, dall’altra ho pensato a come far avvicinare la gente comune al Talos. Perciò è stato naturale sviluppare il progetto coreografico come un progetto partecipato, inclusivo, di comunità, di cittadini che non avevano magari mai frequentato la danza contemporanea. Persone di tutte le età e professioni: l’apertura e l’inclusività non erano legate all’idea di raccogliere un consenso a tutti i costi, quanto al desiderio di rendere il Talos un laboratorio quotidiano per la pratica della bellezza. La bellezza è un esercizio sospeso rispetto alla brutalità della realtà e dei ritmi produttivi in cui tutti noi siamo costretti. Per cui l’idea di sviluppare un progetto sul gesto che fosse partecipato, con tutti i significati poetici connessi, era l’occasione forte per far esercitare una comunità cittadina all’incontro con la musica attraverso la danza contemporanea.


Jazz Convention: Quest’anno c’è stata una esplosione riguardo ai partecipanti, sia attiva, se penso alle persone che hanno fatto parte dei laboratori e si sono esibite, che come pubblico…



GDL: In questa edizione abbiamo avuto oltre centro partecipanti ai vari progetti del settore danza. Quattordici professionisti sono stati impegnati nelle masterclass svolte da Sanna Myllylahti, coreografa strepitosa che viene da Helsinki. È successa una vera e propria reazione a catena: le persone vengono a vedere non solo l’evento al quale ha partecipato il proprio congiunto ma colgono attraverso il corpo, attraverso l’esperienza di chi è loro vicino, la possibilità di vivere quella musica che, magari, fino a qualche tempo prima avvertivano come estranea alla propria cultura e alla propria sensibilità. La cosa meravigliosa non è che si vada a vedere lo spettacolo del proprio congiunto, ma il fatto di voler vedere gli altri lavori e gli altri concerti. Si sono resi conto del fatto che questa è una musica possibile da abitare. Questa è la vittoria che siamo riusciti a costruire con Pino e Livio Minafra e la volontà e la complicità forte dell’Assessorato guidato da Monica Filograno.


JC: Immagino che ogni laboratorio – che poi diventa uno spettacolo del Talos e un rapporto con le persone – sia un percorso che prende le mosse molto tempo prima che inizi la rassegna…



GDL: I percorsi con gli amatori sono percorsi strutturati. Sia l’anno scorso che quest’anno abbiamo fatto una call a maggio, aperta tutti i cittadini con una scadenza che coincideva anche con la presentazione dei progetti alla città. C’è un percorso di circa tre mesi con i diversi gruppi. Inoltre, in alcuni casi, altre progettualità si stanno convogliando nel Talos. Ad esempio, ne I giardini famigliari (uno dei quattro spettacoli proposti – N.d.R.) c’erano dieci gruppi famigliari: tre di questi gruppi erano ruvesi. Con loro, però, avevamo cominciato il percorso ancora prima a Terlizzi e a Bisceglie, in occasione di un contesto di danza contemporanea più strutturato che la nostra compagnia, la Compagnia Menhir, ha proposto in questi mesi. Naturalmente, queste persone hanno proseguito il lavoro all’interno del progetto Talos. E così, alcuni di loro, si arriva a quattro o cinque mesi. L’esempio de I giardini familiari è calzante: nel progetto c’è una scrittura, magari anche semplice, di quasi nove minuti. Se la moltiplichi per i dieci gruppi, in pratica, ottieni novanta minuti di coreografia. È un lavoro intenso: l’ideazione non può prescindere dall’umanità che si incontra, ci sono poi tante variabili che intervengono e che occorre prevedere e questo dilata ulteriormente i tempi. La bellezza di un lavoro simile è una ricerca artistica pura. Nell’ambito della danza, il corpo è lo strumento: lavorare con il corpo di un amatore è come cercare un suono nuovo per uno strumento che già conosci, è cercare un suono del corpo che è diverso, per forza di cose, da quello prodotto da un corpo istruito e formato alla danza. È un’operazione che va a scavare profondamente nel gesto, va a cercare nelle pieghe e nelle maglie del corpo, è una sorta di archeologia del gesto. Soprattutto per le persone più anziane, c’è una memoria collettiva e c’è una memoria gestuale che proviene dalle professioni, se pensi alla loro capacità di lavorare la materia in un modo che è del tutto diverso da quello di oggi. Si scopre nei dettagli, nella pausa, nel momento in cui gesticolano. È veramente molto interessante come processo…


JC: Hai già iniziato a citare alcune delle “categorie” di persone che hanno condiviso il percorso con voi. Hai citato le famiglie, gli anziani… hai coinvolto poi le donne, i diversamente abili e tanti altri ancora. Hai voluto evitare la parola “sociale” ieri in conferenza stampa e hai preferito usare l’aggettivo “antropologico”: in ogni caso, c’è una attenzione alla risposta delle persone, al valore che ogni gruppo porta…



GDL: Ognuna di queste persone è dotata di una propria capacità espressiva. Se lavori con delle persone anziane, scopri esattamente la memoria stratificata di cui parlavo prima, una densità della presenza, una fragilità talvolta trattenuta e di cui si ha paura. In altri casi scopri l’accoglienza della caducità. E, ad esempio, sai che la scansione del gesto va verso l’adagio. Quando ti confronti con dei bambini, ci saranno dei ritmi sincopati, dei movimenti inaspettati, una vivacità straordinaria. Arcipelago, invece, lo spettacolo di oggi, ha come protagonisti dei giovani tra i 16 e i 30 anni, nel pieno della loro forza, prestanti: offrono altre potenzialità espressiva, si può creare un rapporto con lo spazio in una dinamica potente. Queste comunità ti offrono la possibilità di modulare la scrittura e ti aiutano a non ripeterti, a trovare soluzioni nuove. Il rapporto con le architetture aggiunge altre opzioni: basta guardarsi intorno per far partire le idee. I risvolti riabilitativi, sociali, antropologici ci possono essere ma penso soprattutto al fatto che persone che non sarebbero mai venute a vedere un concerto del Talos hanno vissuto nel loro corpo questa musica e hanno stretto un legame con questa espressione.


JC: Giulio De Leo e Compagnia Menhir… raccontiamo qual è stato il percorso che vi ha portato fin qui e il tuo rapporto con il Talos.



GDL: L’amore per tutto quello che Pino ha portato, le novità e le esperienze dirette fatte nelle edizioni passate, erano fili lontani che non immaginavo di poter ricucire. Come molti altri danzatori italiani, sono andato all’estero per formarmi e, così, ho fatto parte di molte compagnie, in Germania e soprattutto in Francia. Ho lavorato con grandissimi maestri anche in Italia, come ad esempio Raffaella Giordano o Virgilio Sieni. Negli ultimi dieci anni in Italia stiamo recuperando terreno nella danza contemporanea, ma nel Nord Europa c’è di sicuro una cultura più evoluta. Nell’esperienza con Virgilio Sieni – di cui sono stato assistente per dieci anni e sono stato suo assistente in Biennale e ho coordinato il College Danza della Biennale per quattro anni – ho trovato la chiave per mettere insieme talenti e sogni: da un lato, la capacità di dirigere dei gruppi; dall’altro, l’esperienza di farlo con delle comunità di amatori. L’idea di portare la cultura del gesto nei territori era una linea che Virgilio ha coltivato e io, grazie a lui, ho coltivato a mia volta. La Compagnia Menhir ha una “casa” al Teatro Garibaldi di Bisceglie dove abbiamo sviluppato un progetto di formazione professionale che si chiama “Libero Corpo” e, dall’anno scorso, grazie anche alla spinta del Talos, abbiamo aperto anche un “Libero Corpo Amatori”. Abbiamo già traghettato delle esperienze da Bisceglie al Talos, qui a Ruvo, e viceversa: a Bisceglie, il nostro percorso formativo e di programmazione si chiude ad aprile con una rassegna di danza contemporanea che si chiama “Prospettiva Nevskij”, sostenuta dal Teatro Pubblico Pugliese. All’interno della rassegna, fra i vari progetti amatori, avevamo portato Lirico che avevamo prodotto qui a Ruvo e che aveva visto la complicità di Eugenio Colombo. Un progetto portato nella piazza davanti al Teatro e realizzato insieme a Giuliano Di Cesare. Sono progetti che incantano gli spettatori anche perché il pubblico vede di fronte a se dei corpi comuni che riescono a stare in una qualità, che riescono a rispettare un codice gestuale ben definito e si identifica molto più facilmente: e così entra in modo diretto nelle maglie poetiche ed emotive.


JC: Il Talos finisce oggi, ti prendi qualche istante di pausa ma già stai pensando a cosa fare in futuro…



GDL: Ci sono delle idee… (sorride – N.d.r.) Con Livio Minafra sogniamo di espandere il lavoro sulle comunità: stiamo pensando di andare a cercare comunità particolari, durante l’anno, e di ragionare su progetti ben specifici. E naturalmente ci piacerebbe invitare altre comunità che, magari, si sono già misurate con altri coreografi per farle esibire al Talos e offrire loro visibilità. Mi piacerebbe inoltre andare a recuperare il repertorio musicale che è stato suonato al Talos in questi decenni – il festival è nato nel 1993 – e andarlo ad abitare con la danza: un modo per far rivivere la storia e avere delle attività per la mattina durante i giorni del festival e connotare il Talos come un crocevia culturale tra persone che si confrontano con ambiti culturali diversi e che magari hanno una visione diversa e più ampia.



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