Soundfly – 2018
Riccardo Ceres: voce, chitarra, banjo, armonica, bendir, Elektra piano
Fabio Tommasone: Fender Rhodes, organo Hammond
Raffaele Natale: batteria
Vincenzo Lamagna: contrabbasso
Ciro Riccardi: tromba, flicorno
Andrea Russo: fisarmonica
Artan Tauzi: violoncello
Rebecca Dos Santos: percussioni
Spaghetti Southern è in assoluto il disco più completo e rappresentativo di Riccardo Ceres. Epica e poetica costituiscono un unicum nella sua narrazione. Egli rappresenta un sud che non s’arrende e combatte, metafora di una vita che mostra i lati migliori e più genuini. E Ceres è un uomo del sud, un cantore di amori, sogni, uomini e paesaggi, La sua è una penna incisiva, rude, che non concede nulla – «non mi importa chi ha perso» – ma taglia come un bisturi tirando via la pelle alle apparenze del quotidiano. È un cantautore che racconta di sé, ma che fa da tramite alle diverse rappresentazioni della vita. Tempeste e marosi, bonacce e risacche si susseguono come fosse un Gordon Pym incastrato tra presente e ignoto, perché è Tutta colpa del mare se la vita è un Titanic. Affida a un blues sanguinolento le sue speranze da marinaio di ritorno – «Potessi essere un minuto solamente come il mare che risacca e ritorna senza età» – per non perdere lo slancio ad esistere nonostante infidi Coyote tagliati alla T-Bone Burnett si muovano in uno scenario da “Meridiano di sangue”. Altrimenti Vado a Milano, attraversando italiche strade blu a cavallo di un’auto psichedelica perché «prima o poi tutti i terroni vanno a Milano». Ma la condizione lisergica risveglia radici e folclore, Calexico e confini, frontiere meridiane, tutte uguali, fatte di riti, santi e madonne.
Spaghetti Southern: dieci storie originali dal profilo ben definito e musicalmente variegato, dove si va dal blues al jazz, al rock al folk. E all’ascolto sono palesi queste influenze e soprattutto conoscenze. Ceres è nel mezzo tra Buscaglione e Conte – padri putativi, non sappiamo se consci o inconsci – ma c’è anche la scuola genovese, Ciampi, Tenco, Dalla, Tom Waits, tanta letteratura di frontiera e Morricone nei tagli e close up.
«C’è qualcosa di buono nell’aria», un profumo di sud, canzoni, musiche e parole, da annusare e assaporare con gusto e piacere post moderno. Consigliato!
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