ECM New Series – ECM 2514 – 2017
Lusine Grigoryan: pianoforte
Autore ma più in generale ispirazione che ha rapsodicamente pervaso già una serie di tappe discografiche ECM, Komitas Vardapets è l’indiscusso patriarca contemporaneo della musicalità e della cultura d’Armenia, fattivo curatore anche di culture viciniori (ad esempio il patrimonio del travagliato popolo curdo); oggetto dell’interesse di eterogenei interpreti della label di Monaco, è recentemente pervenuto a protagonismo quale nitido dedicatario di un’incisione monotematica (e liberamente filologica) del Gurdjieff Ensemble, di stile arcaicheggiante ma di brillante resa, che sanciva anche un importante punto di riflessione nella ricorrenza del centenario del Genocidio armeno. Appena successiva nel tempo la pubblicazione del materiale in oggetto, che differisce grandemente per sviluppo strumentale e resa spettacolare dall’altra incisione, ma non certo per matrici e background, risultando entrambe complementari nella rivalutazione di una figura e di un lascito cui implicitamente s’attribuisce universalità di valori.
Se le note di copertina opportunamente sottolineano la peculiarità d’origine, in termini di spazio-tempo (ossia dai margini del territorio occidentale, così come dagli estremi limiti della tradizione romantica), le medesime note forse azzardano (ed indulgono) un po’ troppo circa certe suggestioni del fraseggio e del trattamento ritmico del pianoforte solo nel mimare strumenti assai più antichi e molto strettamente correlati al locale patrimonio etnico (quantunque lo stesso Komitas avesse enfatizzato con grande dovizia di notazioni addirittura i tratti umorali di tali miniature musicali in sequenza).
Speciale la fascinazione da cui si è immediatamente pervasi all’ascolto, in particolare rilevando l’apparente semplicità dei materiali pianistici delle Seven Songs d’apertura, tratteggiate da grappoli fraseologici di brunita timbrica, ma a partire da questi materiali andiamo discostandoci da analogie d’accademia con le grandi personalità aprenti il Novecento europeo (Bartók e Satie in testa), rilevando già nell’articolata Msho Shoror come nel successivo passaggio delle Seven Dances (ed analogamente nei dodici, concisi Pieces for Children) l’evidente “doppia anima” formale, almeno partendo dai nostri comuni criteri d’ascolto, gemmante da tracce musicali che con stringata sintesi coloristica riconducono a vita un mondo narrativo plurisecolare pescante nel Mito e vivente nella convivialità, scandito per lo più in compunta forma danzante.
Conferire rappresentazione ed alitare fascino su tali materiali è il compito, arduo ma esaudito con naturalezza, del magistero pianistico di Lusine Grigoryan, medium comunicativo d’incantatoria immediatezza, servito da un catturante sound minerale: accessibile senza mai perdere in concentrazione, oculatamente ieratica senza cedere all’enfasi, tale interpretazione travalica i “limiti” linguistici dell’accademia sfrondandola da limitazioni culturali alla fruizione, più volte avvertendo, nel corso dell’ascolto, la ricezione di una sorta di codice universale dalla cui rudimentalità apparente s’attinge il disvelamento di importanti e più profondi substrati linguistici, non limitati al nobile ad antico mondo d’origine, e qui veicolati da una personalità manierata ed incisiva.
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Sito web: www.lusinegrigoryan.com
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