Concerto Azzurro: Stefano Bollani e Paolo Silvestri con l’Orchestra del Carlo Felice di Genova

Foto: Marcello Orselli per gentile concessione Ufficio Stampa Teatro Carlo Felice










Concerto Azzurro

Stefano Bollani e Paolo Silvestri con l’Orchestra del Carlo Felice di Genova

Genova. Teatro Carlo Felice – 22.2.2019

Stefano Bollani Concerto Azzurro. Direttore e arrangiatore Paolo Silvestri

Duke Ellington Suite From “The River”. Direttore Paolo Silvestri

Stefano Bollani ritorna a Genova ad un anno di distanza dalla sua esibizione con “Napoli Trip”. Questa volta, è il turno del “Concerto Azzurro” che ha avuto la prima esecuzione a Firenze nel 2017 e che è stato portato in giro per l’Europa successivamente in prestigiosi teatri dell’opera. Si tratta di un concerto per pianoforte e orchestra. In questo caso, il pianista si avvale della collaborazione dell’orchestra del Carlo Felice, diretta da Paolo Silvestri, anche arrangiatore della suite composta, invece, dal poliedrico artista fiorentino.


Sul palcoscenico è sistemata pure una batteria, dietro la quale siede il giovane e competente Bernardo Guerra. Il concerto è strutturato su un prologo e tre movimenti, tutti imperniati sull’interazione fra il leader e il resto dell’ensemble. Ci sono intermezzi riservati al solo pianoforte in cui Bollani prende il largo lanciandosi in divagazioni rockeggianti, latine o apre a preludi romantici. Si alternano, poi, momenti puramente orchestrali, con la sezione degli archi in bella evidenza, o viceversa con gli ottoni a condurre il gioco. Non mancano le sequenze riservate al dialogo fra piano e batteria su ritmi tirati, vicini al funky. Insomma, il concerto procede fra una serie di possibili combinazioni strumentali, in cui saltano fuori, comunque, le passioni di Bollani per il Brasile, la fusion e lo swing, ammorbidite, però, da un contesto sinfonico in verità piuttosto leggero, non certo soffocante. La composizione contiene, inoltre, arie di varia specie e natura, temi che sgorgano da indicazioni del pianoforte o si rivelano dal lavoro di sezione, ribaditi, sviluppati dal solista di turno. Il tutto, nel suo insieme, somiglia alla colonna sonora di un musical americano immaginario.


Il pubblico dimostra di gradire questo tipo di proposta ibrida, fra il classico e il jazz, e richiama Bollani sulla scena per alcuni bis. In questo finale il virtuoso e onnivoro tastierista fa sfoggio della sua strabiliante tecnica e della sua cultura musicale, passando dalla Mattinata di Leoncavallo al Barbone di Siviglia, un original, a Tico Tico, invadendo la sala con un profluvio di note condite di arguzia e di energia secondo il suo stile abituale.


Dopo l’intervallo, la sola Orchestra del Carlo Felice, sempre con la direzione di Paolo Silvestri, si cimenta in The River. Una pagina scritta originariamente per un balletto da Duke Ellington nella parabola conclusiva della sua esistenza. A volte, gli autori di musica afroamericana si sono reinventati compositori classici per nobilitare, in un certo senso, la loro arte, per salire di livello nella considerazione degli appassionati o degli addetti ai lavori. Il jazz, definizione rifiutata come ghetizzante da una parte dei musicisti di colore, è sempre stato considerato in posizione di inferiorità, infatti, rispetto alla musica colta. Il salto in avanti, se così si può dire, il cambio di genere, non sempre, però, ha prodotto i risultati sperati fra quelli che ci hanno provato.


Per sgombrare il campo da possibili equivoci, cioè, si può tranquillamente affermare che Il miglior Ellington non si trovi in queste pagine, anche se si possono scorgere nelle stesse diversi elementi interessanti.


“The River”, in sintesi, è apparentabile al filone della musica descrittiva, deve qualcosa agli impressionisti Debussy e Ravel. Nei suoi vari movimenti viene rappresentato lo scorrere del fiume dalla sorgente alla foce. Si passa dall’esposizione di motivi lenti e ampi esposti all’unisono a siparietti per i flauti o per qualche strumento piccolo, per arrivare a sequenze di impronta swing sostenute dall’intera orchestra. Man mano che il corso d’acqua si avvicina al mare aumenta la velocità e la suite accelera il ritmo. Silvestri dirige con padronanza l’orchestra, forzando la mano nelle parti in cui suonano tutti, cercando, per contro, di sottolineare con gusto le sfumature, la grazia di alcuni passaggi riservati a pochi strumenti.


In complesso l’esecuzione si dimostra coerente ed equilibrata, anche se manca del calore, del pathos che avrebbe, forse, garantito una big band formata da jazzisti puri. In più la stessa pronuncia delle note è certamente giusta, ma pure troppo corretta, eccessivamente inquadrata. Non avrebbe sfigurato qualche digressione interpretativa, qualche licenza espressiva con tutto il rispetto che si può portare per le partiture del Duca.


Gli spettatori, ad ogni buon conto, festeggiano Silvestri e i musicisti con ripetuti applausi e autentiche ovazioni alla fine della serata.



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