Foto: la copertina del disco
Lorenzo De Finti: la sua musica come un “amore sconosciuto”!
Love Unknown è l’ultimo e raffinato lavoro del pianista e compositore Lorenzo De Finti. Gli abbiamo chiesto di parlarci di sé, della sua musica e naturalmente di Love Unknown.
Jazz Convention: Chi è Lorenzo De Finti? Come ti sei avvicinato alla musica, al pianoforte, in particolare, e, poi, al jazz?
Lorenzo De Finti: Ho respirato musica fin da bambino: mio papà è un pianista jazz amatoriale molto bravo. La sua passione mi ha spinto verso il pianoforte sin da quando ero piccolo. Successivamente è esploso un grande amore verso i Beatles, utilissimo per creare una apertura mentale. Il jazz è arrivato dopo, conseguentemente ad incontri con amici che già avevano questa passione
JC: Che significato ha per te la parola jazz?
LDF: Tutto meno che un’etichetta su un genere musicale. Il jazz ha una storia. È un’espressione artistica che è iniziata 150 anni fa. È cresciuta, è cambiata e cambia in continuazione, si evolve, muta, si arricchisce di voci e suoni nuovi: non vedo un esaurimento prossimo di questo processo continuo.
JC: Chi sono i tuoi pianisti preferiti, quelli che ti hanno spinto a suonare ed amare il pianoforte?
LDF: All’inizio di sicuro Chick Corea, il cui mondo sonoro (dal piano solo, all’Elektric Band, passando per Return to Forever), mi ha conquistato quindicenne. Poi Herbie Hancock e Keith Jarrett. Ma la scoperta successiva di grandi pianisti europei (Esbjorn Svensson, Bobo Stenson, e altri) ha decisamente segnato un cambiamento anche nel mio pianismo e nel mio approccio allo strumento, all’improvvisazione e alla composizione
JC: Qual è il tuo rapporto con le “altre” musiche e quanto c’è di queste nel tuo jazz?
LDF: Come ho detto prima, non mi pongo limiti nel cercare la bellezza che sempre può essere scovata in qualunque genere musicale: ovviamente ho un rapporto stretto con la musica “classica” che pratico e adoro, ma ascolto anche tanto rock. Ad esempio, in questo periodo ho un’infatuazione verso John Frusciante e sto approfondendo il suo modo di comporre
JC: È più semplice essere un pianista o compositore? Quando scrivi musica hai già in mente con chi e con quanti musicisti suonarla?
LDF: Sono entrambe cose difficili! La differenza secondo me sta nel fatto che sul pianoforte sai che ad un determinato sforzo corrisponde un determinato risultato, se studi otto ore al giorno per sei mesi migliori: sic et sempliciter. La mia esperienza da compositore non è così: salta fuori, è sempre imprevedibile, vive in un certo senso di vita propria, ti porta dove non pensavi e non sapevi. Penso sia il miracolo misterioso della creatività umana. Compositori infinitamente più grandi di me hanno fatto la stessa esperienza, addirittura senza esserne coscienti (impossibile che Mozart o Beethoven avessero piena consapevolezza dell’enormità che stavano creando!). Quando scrivo ho in mente sia i musicisti che l’organico a cui vorrei affidare il lavoro: è molto importante scrivere le note giuste per il musicista giusto.
JC: Hai collaborato con musicisti italiani e stranieri. Quale è il musicista che ti ha lasciato un segno, che più degli altri ha influenzato la tua musica?
LDF: Tutti i musicisti con cui ho suonato hanno dato qualcosa per il mio percorso di crescita musicale. Mi vengono in mente il contrabbassista Stefano Dall’Ora, con cui scrivo i brani del mio quartetto: un solista pazzesco e un compositore imprevedibile; poi il sassofonista americano Eric Marienthal con cui incido e suono dal 1997 nel mio progetto Colors Of Life. Eric non ha limiti in ciò che può fare dal vivo o in studio. Essere accanto a lui è uno stimolo continuo.
JC: Il tuo primo disco da leader è del 1998 e si chiama Beyond the Desert. Come è nato? Che ricordi hai di quell’esperienza?
LDF: Ricordo le session al Mad Hatter di Chick Corea a Los Angeles, e musicisti che prima avevo visto solo sui giornali impegnati in studio con me, in particolare il già citato Marienthal e il percussionista Alex Acuna. Poi i primi lunghi tour, con Eric e il batterista Giorgio Di Tullio. Devo tutto ciò che ho ora a quel disco
JC: A Beyond the Desert sono seguiti altri lavori tra cui We Live Here del 2016 e Love Unknown del 2018. Entrambi sono stati incisi, con il tuo quartetto acustico, per la casa discografica norvegese Losen Records. Come è nata questa collaborazione e cosa vuol dire incidere per una label straniera?
LDF: Il quartetto è nato con l’idea di creare un ensemble cameristico, con chiaro riferimento al jazz nord europeo: tra le varie possibilità che avevo davanti, mi sembrava che Losen Records offrisse maggiori occasioni di accedere ad un panorama europeo sempre difficile da conquistare. Dopo aver visto piovere recensioni da tutta Europa, e successivamente concerti sempre più numerosi, ho capito che la scelta è stata quella giusta
JC: A proposito del tuo quartetto acustico, come e quando lo hai messo insieme e perché hai scelto proprio quei musicisti?
LDF: Conosco Stefano Dall’Ora da quando eravamo ragazzi e, a parte il fatto che è uno dei migliori contrabbassisti sulla scena europea, tra noi c’è una grande affinità a livello musicale e compositivo, per cui mi è stato spontaneo coinvolgerlo nel quartetto. Marco Castiglioni alla batteria ha quel tocco, quella musicalità che servivano a rendere l’atmosfera “cameristica” che cercavo come sonorità per il gruppo. Gendrickson Mena è stata una scommessa vincente: lui é un bravissimo trombettista cubano, ma, proprio per questo un po’ lontano dalle brume nord europee che abbiamo cercato di “evocare”; tuttavia ho sempre pensato che lui avesse il suono giusto per questo: si è dovuto impegnare molto per entrare nella nuova veste, ma il risultato è stato sorprendente
JC: Il tuo ultimo disco, Love Unknown, è formato da otto brani scritti da te e il contrabbassista Stefano Dell’Ora. Ci racconti la genesi di questo progetto e la natura delle singole composizioni?
LDF: L’idea (come per il precedente We Live Here) è stata sempre quella di creare un suono il più puro e vero possibile. Entrambi i lavori sono stati registrati negli studi della radio svizzera di Lugano, noti in tutto il mondo per la loro acustica “trascendentale”. Entrambi sono stati mixati da Stefano Dall’Ora che ha una percezione di questo obiettivo chiara ed assoluta. In Love Unknown, abbiamo portato le intuizioni che hanno generato We Live Here alle loro estreme conseguenze: ad esempio la mini suite Return to Quarakosh propone due tempi totalmente scritti, mentre quello centrale é pura improvvisazione libera. Se Liede ohne Worte esplora fino al loro confine le possibilità cameristica del jazz, The Vortex of the Angel propone suoni e spunti melodici vicini al rock (anche duro!), sempre però nell’ottica sonora della musica da camera. Non riesco neppure io stesso a definire il genere musicale della “title track”, Love Unknown, un brano basato su un continuo dialogo tra contrabbasso, pianoforte e tromba con variazioni dinamiche estreme; The day I will see you again è una ballad strutturata in diverse sezioni in modo ciclico, la sonorità è spinta verso il puro jazz dalla tromba con la sordina
JC: Ascoltando Love Unknown si colgono echi ed atmosfere tipiche del jazz nord europeo. Questa caratteristica, non predominante, è dovuta ad una tua scelta artistica o è anche condizionata dall’etichetta per la quale incidi?
LDF: No, è stata una scelta. Soprattutto sentivo l’ urgenza di mettere il pianoforte al centro del mio mondo musicale, il resto è venuto di conseguenza
JC: Come concili, in Love Unknown, le parti scritte con quelle improvvisate e che valore dai al timbro ed alla melodia?
LDF: Penso che si sia trovato un giusto equilibrio tra scrittura e improvvisazione nei nostri brani: tutto è molto scritto, anche nelle parti di improvvisazione ci sono controcanti che i vari strumenti si scambiano e che vanno ad innestarsi sul solista di turno. Come ho detto prima, dinamica è melodia hanno la massima importanza, abbiamo curato ogni nota, cercando sempre la soluzione migliore. Non sta a me giudicare in assoluto il risultato finale: di mio, sono molto contento del lavoro che abbiamo svolto
JC: Love Unknown è un ulteriore capitolo della tua carriera di musicista in evoluzione. Come credi che sarà il tuo jazz tra qualche anno?
LDF: Domanda difficile: non ho una risposta in effetti. La strada va nella direzione di Love Unknown, anche il materiale nuovo che sto cominciando ad elaborare segue quel percorso: ma la vita è piena di sorprese. Abbiamo ad esempio suonato alcuni brani di Love Unknown con il performer/vocalist svizzero Andreas Schaerer, uno dei musicisti più attivi nel panorama europeo: l’effetto è stato impressionante e non è detto che varianti di questo genere non aggiungano ulteriori direzioni alla strada intrapresa.
Segui Flavio Caprera su Twitter: @flaviocaprera