Foto: La copertina del libro
Camilla Poesio. Tutto è ritmo, tutto è swing – Il jazz, il fascismo e la società italiana.
Le Monnier, 2018
«Il jazz non è semplicemente una musica qualunque, leggera o ponderosa che sia, ma anche una musica di protesta e ribellione. Con questo non voglio dire che si tratti sempre e necessariamente una musica di aperta e consapevole protesta politica […], ma che la musica stessa si presta a ogni tipo di rivolta e protesta meglio di qualsiasi altra forma d’arte. Ha il vantaggio di rivolgersi non solo alla platea, ma anche al loggione.»
Così scrisse E.J. Hobsbawm, della nostra musica, individuandone uno dei caratteri fondanti, quello del senso di libertà e d’innovazione che conteneva; un’arte nemica di ogni costrizione e come tale avversata da qualunque nemico della libertà. Nato da origini oscure il jazz fu veicolo e-o simbolo una ventata d’innovazione anche nei costumi, non solo quelli sessuali. Anche la moda femminile ne risentì. Gli abiti si accorciarono proprio per permettere alle ragazze di muoversi meglio nei nuovi balli che si affermavano in America e si diffondevano, con grande rapidità in Europa. Perché la nuova musica arrivava in fretta, la imparavano i musicisti che suonavano sui transatlantici e che a New York la andavano ad ascoltare nei locali. La portavano i ricchi turisti americani che soggiornavano per mesi nel nostro paese, diventando spesso il centro della vita mondana nelle località nelle quali si fermavano. Cole Porter mise in piedi un’orchestra swing che suonava di notte lungo i canali di Venezia; le feste che dava nella sua sontuosa residenza erano note per la loro trasgressività («Sex, drug and jazz», in sostanza…)
Il regime fascista, fin dai suoi albori, si rese conto del pericolo sociale e culturale di queste nuove tendenze. Per tutta la durata del regime, le autorità politiche e le riviste del regime cercarono di contrastare questa moda dilagante, supportati con grande vigore dalla gerarchia cattolica. Si cercò di fare credere, addirittura, con quelle che oggi chiameremmo fake news, che le nuove, scatenate danze potessero nuocere alla salute, cagionando perfino la morte.
L’ondata del jazz però non fu fermata. La radio pubblica nascente, le case discografiche, non potevano fare a meno di tutto questa immenso giacimento d’idee nuove che arrivava da oltreoceano. Non a caso la prima tournee italiana di Satchmo fu un grande successo di pubblico e critica. Nel corso degli anni si affermò una soluzione di compromesso, secondo la quale si doveva puntare a un Jazz italico, uno swing edulcorato e purgato, anche lessicalmente, da anglicismi.
Questa, in grande sintesi, la storia narrata in questo libretto dalla giovane storica Camilla Poesio. Illustri scrittori di cose jazzistiche ritengono questo studio definitivo. Altri, come Franco Bergoglio sono meno entusiasti. Personalmente credo che questa lettura, al netto delle inevitabili e necessarie (ogni buon libro deve suscitare dibattiti e interrogativi) divergenze storiografiche, sia importante per gli appassionati di jazz. Siamo di fronte a un bel libro, appassionante e ricco di spunti, capace di entrare, attraverso il jazz, nella storia quotidiana dell’Italia dei nostri padri e dei nostri nonni.
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