Mauro Ottolini, Sea Shell

Foto: Archivio Fabio Ciminiera










Mauro Ottolini, Sea Shell

Azzurra Music – 2019

Mauro Ottolini: conchiglie, Loop, fischietti di Matera, strumenti artigianali sardi costruiti con zucche e canne di bamboo di Mondo Usai, campanelli di bicicletta, acqua di rubinetto su piatti di metallo, tazzine e bicchieri rotti

Vinicio Capossela: voce ne La Madonna delle conchiglie

Vanessa Tagliabue Yorke: voce

Vincenzo Vasi: voce, giocattoli sonori rigenerati, rumors, immondizie di plastica

Gavino Murgia: voce- percussioni tribali sarde, strumenti artigianali, materiale plastico percosso e barattoli

Rhys Waite: cerimoniere musicista aborigeno, voce, didgeridoo

Maurilio Balzanelli: percussioni, materiale percosso, strumenti ad acqua

Stefano Stefanoni: sound engineer, music coordinator

Coro Multietnico di voci bianche “Le Zucchine” diretto da Vanessa Yorke
Di solito, lo schema delle interviste presuppone una domanda seguita da una risposta. Di solito, l’intervistatore ha un suo schema di partenza che poi rielabora dopo la conversazione, riscrivendo la griglia originaria. Io avevo in mente alcune domande da porre a Mauro Ottolini sul suo recente disco Sea Shell, lavoro improntato a un forte sentimento ecologista (Fra gli Sponsor Lega Ambiente, Green Peace, Umbria Jazz, Crossroads, Doc Servizi e Festambiente Sud). In realtà ne ho posta una sola. Mauro è partito da quella per spiegarmi, tutto d’un fiato, la nascita e la realizzazione del suo ottimo disco, un mix di suoni antichi (quelli delle conchiglie), e di soluzioni sonore inedite e fresche, funzionali a un progetto musicale ecologico, negli intenti e nei mezzi da utilizzare. Preferisco quindi riprodurre il suo “assolo”, che risponde anche alle domande non formulate.


Io ero partito chiedendogli com’era nato questo progetto…


«Ho cominciato a lavorarci tre anni fa. Certo, io sono da sempre interessato alla ricerca timbrica: sono interessato a suonare nuovi strumenti, a elaborare impasti sonori inediti. Ho messo in piedi la Slide Family, i Sousaphonix e tanti altri. Penso sempre al mio gruppo, durato lo spazio di un solo concerto e di un disco, dei Separatisti Bassi, dove si usavano prevalentemente strumenti “scuri”. Mi aspettavo che quella proposta sarebbe stata accolta meglio dagli organizzatori di festival. Purtroppo, soprattutto in Italia, ben pochi se la sentono di rischiare con progetti nuovi. Inutile recriminare.


Devo dire che colleziono conchiglie da almeno vent’anni. Le raccolgo nei miei viaggi e, nei ritagli di tempo, cerco di catturare la loro voce musicale riadattandole, riparandole, studiandole. Per ognuna di loro è necessario costruire un’imboccatura, un po’ come fanno gli oboisti e i fagottisti con le loro ance. Per inciso, ma non tanto, ho un rapporto di amore viscerale col mare. Uno dei miei sogni è, a fine carriera, ritirarmi in Sardegna o, forse, anche su una piccola isola. Amo il mare, i suoi profumi, i suoi colori e il senso di comunità che ancora è vivo sulle isole. Soffro, veramente, nel vedere lo scempio che ne facciamo.


Tre anni fa, ho cominciato a pensare alla possibilità di far suonare da protagoniste le mie conchiglie multinazionali. Ne ho parlato con Maurilio Balzanelli, un amico percussionista, e ci siamo messi a provare nella sua vecchia casa di campagna; una location giusta per evocare le voci racchiuse nei gusci. Abbiamo quasi subito scartato l’idea di utilizzare raddoppiatori di voci e tutti gli utilissimi oggetti che facilitano la nostra vita di musicisti. Volevamo evitare suoni asettici, algidi. La conchiglia è il primo strumento musicale a fiato di cui l’uomo si è servito; gli studi l’hanno dimostrato. Il corno d’animale viene dopo, la necessità di svuotarlo per trarne suoni non è stata capita subito. Era invece intuitivo soffiare dentro una conchiglia rotta a una delle estremità. Soffiavi e capivi subito che – muovendo la mano anche di pochi millimetri dentro la cavità della conchiglia – emettevi suoni diversi.


Torniamo a noi. Abbiamo cominciato a provare a casa di Maurilio con l’idea di costruire un percorso suonare insieme a sovrapponendo e sovraincidendo le varie tracce con l’utilizzo di alcuni looper. Cercavamo un percorso il più possibile vicino a un live. Io proponevo il tema e lui lavorava sulle percussioni. Ora, va detto che le conchiglie hanno un estensione sonora molto limitata – cinque o sei semitoni, al massimo – e non sono lo strumento ideale per tessere un fraseggio di lungo respiro. Occorreva usare dei riff, dei poliritmi. A Maurilio ho chiesto di “allargare” l’area melodica con i suoi hang drums, i suoi tamburi ad acqua e tutto il suo vasto campionario di oggetti percussivi. Suonato il tema, dall’inizio alla fine, aggiungevamo qualcos’altro, un basso di conchiglia, una conga, un’altra voce di conchiglia. Non abbiamo accumulato campionamenti. Abbiamo semplicemente messo insieme cose che avevamo suonato dal vivo. Siamo andati in studio con questa idea. Far suonare passo dopo passo un orchestra di conchiglie e percussioni. Orchestra, ho detto, con le sue sezioni e le sue voci armonizzate con le altre.


Non è stato sempre semplice. Le conchiglie hanno problemi d’intonazione non di poco conto. Potremmo paragonarle a strumenti freetless oppure al trombone, strumenti per i quali non esiste una posizione vera e propria per una nota, ma l’esecutore deve affidarsi al suo orecchio per non andare fuori strada. Quando armonizzi le conchiglie è facile riscontrare (s)battimenti, intonature approssimative. Sono anche ricchissime di armonici, soprattutto quelle che emettono suoni bassi e la loro voce sembra imperfetta, sporca, distorta. Non abbiamo voluto correggere questi difetti, perché tali non sono. Prova a immaginare una fanfara balcanica con le voci perfettamente intonate fra di loro. Darebbe una musica uguale a tante altre, suonerebbe falsa. Un altro dato. Due conchiglie all’unisono possono essere dare dei fenomeni di controfase, specialmente quando si vogliono raddoppiare le voci.


Ho studiato tanto le conchiglie e ogni volta che mi chino su di loro mi sorprendono ancora. Tutte nascono in natura seguendo la regola della spirale aurea di Fibonacci. Un altro comportamento sorprendente è che, al contrario del corno francese, inserendo la mano il suono si abbassa.


È stato necessario quindi utilizzare ottave e altri accorgimenti musicali per evitare questo. In ogni caso ci piaceva il suono che veniva fuori fin dall’inizio. Escludere l’impiego di altri strumenti è stato naturale. Ho provato, certo, anche con un pianoforte, ma c’erano troppi problemi di frequenze sonore. Inoltre conchiglie e percussioni s’integrano perfettamente, data anche l’abilità melodica di Maurilio. Creano un suono naturale, ricco di profumi caraibici. Ho preferito allora corredare questo sound con altre sonorità: il rumore del mare, quello di oggetti disparati, il canto delle cicale, pietre sonore di Pinuccio Sciola, voci di balene, registrate con microfoni di profondità, e, talora, antichi strumenti musicali sardi suonati da Gavino Murgia o gli strumenti aborigeni come il didjeridoo e il rombo di tuono, utilizzati da Rhys Waite. E poi le voci umane, Vinicio Capossela, Vanessa Yorke Tagliabue (che dirige anche il coro delle voci bianche), Gavino e Rhys. A coordinare tutto questo lavoro, a legarlo, dandogli una sonorità simile alla musica elettronica, anche se i suoni e i rumori sono tutti acustici, è stato Stefano Stefanoni. Lui prima, e poi Stefano Amerio in studio, hanno fatto un lavoro straordinario. Sono due artisti, non semplici ingegneri del suono. Per ridare all’ascoltatore il senso dell’ancestralità del suono di antichi gusci marini, occorre avere sensibilità musicale.


Questo lavoro si può cogliere ascoltando il disco con un buon impianto Hi-Fi. Vedi, credo che ci sia bisogno, oggi, di un ecologia non solo dell’ambiente. Ne occorrerebbe anche una dell’ascolto. Dovremmo rifiutare la musica liquida, quella compressa e tornare al piacere dei suoni che escono da un buon impianto e cogliere sfumature e suggestioni. C’è anche un inquinamento acustico dovuto alla sciatteria dei suoni, alla mancanza di poesia, alla superficialità.»


Il disco sarà presentato live a Umbria Jazz il 20 luglio. Sul palco saliranno, oltre a Mauro Ottolini, Vincenzo Vasi, Maurilio Balzanelli, Antonio Coatti, Giulio Corini e Simone Padovani.



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