Vendemmia Jazz 2019. In Rosso

Foto:Andrea Gaggero










Vendemmia Jazz 2019. In Rosso

Tagliolo-Ovada-Roccagrimalda (Alessandria) – 6/8.9.2019

«Le formazioni che non eseguono musica originale non sono invitate a questa rassegna…» Così si esprime, in modo lapidario, Antonio Marangolo, direttore artistico di Vendemmia jazz 2019, prima dell’inizio del suo concerto, esplicitando l’idea di privilegiare i musicisti che scelgono una strada alternativa a quella della semplice riproposizione degli standards del jazz.


Ancora una volta il musicista siciliano spariglia le carte e si presenta nel castello di Tagliolo, alla prima data del festival, con un gruppo inedito. Secondo consuetudinee per precisa scelta estetica, il quintetto viene denominato orizzontale, venendo a ruota al sestetto con pari etichetta ascoltato ad Acireale a luglio e proseguendo sulla scia del quartetto orizzontale in attività negli anni novanta. «Per Orizzontale, si indica la volontà di mettere al centro del progetto il canto, rispetto al ritmo o all’armonia», per stessa illuminante ammissione del bandleader.


Come d’abitudine il sassofonista punta forte sul lato compositivo, srotolando pezzi di sua produzione più o meno recenti. Di ognuno dei brani, Marangolo espone la genesi e il significato personale, andando a parare su curiosi e, a volte irresistibili, episodi della sua vita, narrati in modalità sottotono, con arguzia e senso dei tempi teatrali invidiabili. Il primo pezzo si intitola Bye Bye Fatima, a cui segue Sajamastra ( nome anche dell’associazione siciliana che organizza Jaci&Jaci Jazz). Si ascoltano, poi, Grimilde, dedicata alla figlia, scoppiata in lacrime da bambina al cinema alla morte della strega di Biancaneve. «Da questo fatto ho compreso che lei non era un tipo proprio nella norma, in positivo si intende…» Come ci rivela il Marangolo-padre… Su Armenia, la spiegazione di prammatica è spiazzante e divertente: «L’Armenia è la patria di un folklore bellissimo, che peraltro io non ho mai sentito…»


E ancora La distruzione di Roma, legata ad un dissidio familiare. Il tenorista racconta e si racconta pure suonando, con quel suo fraseggio enunciativo, ricco di contenuti e di espressività. Accanto a lui si disimpegna adeguatamente il giovane Andrea Paganetto alla tromba, capace di sostenere all’unisono l’esposizione dei motivi, di partire successivamente per la tangente con un linguaggio efficace e con freschezza di tratto, in assoli briosi, sempre all’interno delle coordinate stabilite dal leader del quintetto.


Gli interventi dei singoli, in ogni modo, si incrociano, si incontrano, si sovrappongono in una rete di scambio che va oltre lo schematismo del tema-variazioni e ritorno al tema, come avviene, solitamente nel mainstream.jazz. Marangolo va oltre questo paradigma, restringendo il quintetto a trio o a duo, secondo necessità, per rimarcare meglio determinate sequenze, oppure favorendo i percorsi convergenti o intrecciati, per dar luogo a intermezzi polifonici in piena regola.


Un punto di forza del combo è, comunque, rappresentato dalla coppia Aldo Mella-Massimo Serra. Il bassista intesse un discorso profondo e lineare per mezzo del pizzicato o con l’utilizzo dell’archetto, atto a garantire un appoggio sicuro, trasversale, a tutto il gruppo. Il batterista è un po’ la sorpresa della serata per l’estro che dimostra in tutte le situazioni, battendo anche su oggetti casalinghi, un cucchiaio e una forchetta, rivelandosi estremamente musicale e comunicativo. Resta da sottolineare il ruolo di Chiappetta, chitarrista-cerniera, adatto per questo tipo di musica, in grado di collegare armoniosamente le elaborazioni della front-line con la base ritmica e di uscire in soli circolari, stringati e significativi.


Il musicista catanese conclude con un bis piuttosto breve:-Non posso fermarmi di più perché fra poco le porte dell’ ospizio saranno sbarrate. Suor Teresa non concede deroghe…» chiosa ironizzando sulla sua età (over 65). Marangolo, invece, in questi ultimi anni sta palesando un’ottima vena artistica e la voglia di affrontare nuove sfide anche dal punto di vista organizzativo, alla faccia della carta d’identità!


Il concerto si chiude fra gli applausi di un pubblico attento e partecipe, convenuto in una splendida location per ascoltare del buon jazz e pure per gustare prelibatezze enogastronomiche piemontesi, offerte a fine serata.


Dopo il concerto del 7 settembre di XY Quartet, all’enoteca regionale di Ovada, di cui non si può render conto, spetta ad Enten Eller la responsabilità di concludere il festival nel castello di Roccagrimalda, altra sede eccellente scelta dagli organizzatori dell’evento.


Pur avendo una storia ultratrentennale, il quartetto di Massimo Barbiero e soci non si è mai fatto vedere in questa zona, piuttosto sorprendentemente.


Dopo una breve intervista introduttiva, condotta con autorevolezza da Alberto Bazzurro, inizia un’esibizione che va a scavare nelle perle del repertorio del gruppo. Si comincia con la gloriosa Per Emanuela di Barbiero, si continua con Teseo di Brunod, Pragma, ancora del percussionista eporediese, per planare su Torquemada di Mandarini e su Yin e yan di Maier (una novità). Una scheggia di pochi minuti, Sud, fa da sigillo finale del concerto. In pratica la scaletta conferma l’orizzontalità nella leadership di Enten Eller, un gruppo in cui i quattro musicisti collaborano con pari dignità alla produzione di un timbro identificabile e di tracciati compositivi da svolgere per mezzo di una progressione concordata, magari soltanto in maniera intuitiva, collettivamente.


Si prendono la scena i due davanti, Mandarini e Brunod, grazie ad un’intesa palpabile e ad un’analoga inclinazione a servirsi dell’elettronica con ingegno e personalità. In particolare il trombettista gestisce una pedaliera che gli permette di raddoppiare e modificare il suono del suo strumento, realizzando cornici e sfondi per i temi che entrano prepotentemente in gioco. Perchè la musica di Enten Eller è molto ricca dal punto di vista melodico. Non lo si scopre certo oggi. Brunod risponde con la sua chitarra elettrica, forzando sugli effetti, non certo per sorprendere, ma per contribuire a realizzare le linee asciutte di un canto malinconico e dolente, quasi un marchio di fabbrica del quartetto piemontese-friulano. Giovanni Maier, poi, è un altro protagonista assoluto della serata. Quando gli viene concesso spazio, il bassista dispensa interventi strutturalmente coesi, modernissimi ma con un retrogusto classico ben avvertibile. Massimo Barbiero, invece, a causa della sua posizione nelle retrovie e per il volume degli strumenti amplificati dei partners, rimane relativamente n ombra. Per cogliere le sottigliezze ritmiche, la varietà di idee e di impulsi che mette in campo, occorre in un certo senso concentrarsi solo sulle percussioni, tralasciando il resto. Malgrado queste piccole riserve, legate principalmente all’acustica della sala, il concerto è decisamente appagante e conferma tutto quanto di buono si è scritto su Enten Eller in questi anni.


La cordiale accoglienza dei proprietari del castello propone, ancora una volta, alla fine, assaggi di piatti della tradizione, oltre a calici di vino delle cantine del maniero. Questo genere di abbinamento incontra sicuramente il favore di spettatori fedeli a questa iniziativa, condotta in modo appassionato e capace dall’associazione “Due sotto l’ombrello” con in testa Gino Gaggero e i suoi valenti collaboratori, senza, ovviamente, dimenticare la firma prestigiosa del direttore artistico Antonio Marangolo.



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