Intakt Records – CD 335 – 2019
Michael Formanek: contrabbasso
Tim Berne: sax alto
Mary Halvorson: chitarra elettrica
Apprezzato lungo un recente tour che ha toccato anche svariati palcoscenici nostrani, il trio (di fatto paritario) capitanato da Michael Formanek di quest’ultimo sancisce progettualità ed eclettismo, in parte tesaurizzando anche i centripeti talenti di due sodali d’ormai definite identità.
I profili dei singoli peraltro non sembrano volersi superare per l’occasione quanto piuttosto interagire senza denunciare necessità di input registici, ma ponendosi comunque ed individualmente al servizio di una fattiva forma free, non del tutto in ossequio a quanto ci si attenderebbe dal canone abitualmente inteso.
Così procedendo lungo il programma, questo si disvela nelle capricciose ed iterative forme dell’intro in Suckerpunch, cui la chitarra di Halvorson conferisce polpa e grinta rockeggiante, transitando nell’ondulante quanto compatta espressività della concentrata Like Statues, l’astrattismo teso e meditante in Still Here, il compunto e appena spettrale clima danzante in Implausible Deniability e But will it float, i bagliori obliqui e sognanti in Shattered o in Apple and Snake, la frenetica conversazione in The Shifter, prendendo le distanze dalla forma jazz (particolarmente per il dominante approccio di Halvorson) nella corrente elettroacustica di Bomb the Cactus; insomma, tutti passaggi liberamente contributivi alla strutturazione conferita dalla scrittura di Formanek, firma di nove tracce in sequenza, che nel finale omaggia un indimenticato ascendente quale il leggendario Scott LaFaro, autore della conclusiva Jade Visions, esordiente con le languide note del contrabbasso, su cui convergono in sottigliezza le sensibili voci degli altri solisti entro un sognante clima serotino.
Già nota l’intesa tra il leader ed il solista d’ancia così come ricorrenti le occasioni di frequentazione e confronto fra i tre, ed il sound della succinta band vive della fraseologia plastica e trasparente del titolare, di compiuto istinto scultoreo, delle figurazioni di calda ispirazione del sax alto netto e veemente di Tim Berne, delle pulsanti e guizzanti corde di Mary Halvorson, alquanto affrancata da certi astrattismi di scuola braxtoniana ed ulteriormente poco inquadrabile.
Fluente la comunicativa, organico l’interplay per una tricefala band che alla resa finale non tende a rialzare più di tanto l’asticella delle combinate visionarietà, ma abile ad elargire con fascinose soluzioni un cangiante ed in parte atipico programma di solido profilo.
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