Try Tone TT – 559-076 – 2019
Tobias Klein: sax alto
John Dikeman: sax tenore
Bart Maris: tromba
Gonçalo Almeida: basso elettrico
Philip Moser: batteria
Jasper Stadhouders: chitarra elettrica
I Paesi Bassi non sono poi così distanti, geograficamente o per fervore locale, per non averne contezza con qualche periodicità, e non riescono pertanto episodiche né sorprendenti le proposte che rendano ragioni e idee ulteriori del bacino Dutch-jazz, non certo marginale e nemmeno poco rappresentativo di fermenti di portata ormai trans-continentale.
Superfluo ricordarne (e singolarmente elogiarne) i più affermati cavalli di razza, particolarmente nell’espressione free: i Misha Mengelberg, Willem Breuker, Han Bennink, Ab Baars trovano nelle più fresche fasce generazionali successori nuovi, non raramente d’importazione, a rinverdire un operato già composito e assai titolato.
Il sestetto di base ad Amsterdam, già sperimentato entro una dinamica fisionomia trans-gender, gioca nel titolo con il loro stesso nome collettivo, motivando la scelta del vocabolo Soufifex in un certo sguardo verso Oriente, segnatamente verso le espressioni della cultura Sufi e della tradizione persiana: queste non saranno sempre da ricercarsi nei richiami d’idioma o colore, quanto piuttosto nella virulenza delle energie circolanti, “eruttive” come da programma, e corposamente segnate dagli spessori del groove e dall’interventismo delle punte solistiche, fortemente impattanti già dal brano di partenza (Confrerie) per quindi mantenersi formalmente equidistante in track “aperte” come la successiva Drinks & Logistics, che incorpora soluzioni del free più “d’annata”.
Ripresa più letterale dei materiali d’ispirazione in Zarbi Owj (a firma del carismatico iranico Mohammad Reza Lofti), pervasa dai più letterali sentori levantini, su cui si modellano le voci dei singoli e le progressioni d’insieme; contaminazioni esplicite e di costruttivo ingegno in passaggi quali AHAP, in cui le linee della tromba, con non vaghe radici gospel, tentano di affermarsi sul testa-a-testa delle ance e soprattutto un ondoso tappeto ritmico funkeggiante, oltre a passaggi nel più tipico spirito free nell’ineffabile Unnecessary Lines, desertica ma via via più strutturata ed attraversata da saettanti sortite. Ritmata e provocatoria, la conclusiva Dikri è rielaborazione di materiali tradizionali, personificati nella densa prestazione dei sei nelle guise di choral-song segnata dalle più genuine istanze di rivolta del jazz in nero.
Connotata dalla solida caratura di tutti i partecipanti all’operazione, nonché dalla netta assertività delle singole voci solistiche, segnatamente l’ancia tenore di John Dikeman e i lampi d’ottone di Bart Maris, la densa polpa del basso elettrico di Gonçalo Almeida e l’infaticabile effervescenza del drum-set di Philip Moser, la sequenza dell’album perviene a condensare una serrata logica da melting strutturato, e la spiritata fusion della band incorpora forma free di solidi richiami e notazioni da Est, non rifuggendo allo scrupolo di licenziare un programma alterno, graziato dall’ambizione della completezza spettacolare.
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