International Jazz Day 2020. Rendiconto e riflessioni

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International Jazz Day 2020. Rendiconto e riflessioni


L’International Jazz Day 2020 si è svolto in maniera, giocoforza, anomala. Non poteva essere altrimenti in tempo di misure restrittive per la pandemia. Alcune associazioni si sono adoperate, però, per festeggiare la ricorrenza patrocinata dall’Unesco con una serie di esibizioni in streaming, registrate dai musicisti at home appositamente per la giornata o montate con contributi realizzati in precedenza. Non sono mancate le opinioni discordanti su questo tipo di iniziativa da parte di quanti considerano lo streaming un modo per regalare il proprio lavoro e la propria arte al pubblico, sminuendo il valore culturale della stessa performance. Oltre tutto in un periodo così difficile per il settore musicale, non solo per il jazz, causa la mancanza di quei paracaduti sociali che possono vantare molte altre categorie. Il futuro per gli operatori si annuncia pieno di incertezze, infatti. Di contro c’è chi sostiene la necessità quasi fisiologica di continuare a suonare e a produrre musica come segnale di una volontà di riprendere con più energia e consapevolezza dal punto in cui è avvenuta la forzata interruzione.


Discussioni a parte, sull’opportunità politica di dar vita a questo tipo di manifestazioni, nella giornata di fine aprile, ma anche nei giorni precedenti e successivi, si sono moltiplicate le proposte in rete a diverso livello.


L’Università di Padova, ad esempio, ha dato luogo ad una full immersion di 24 ore, intitolata “Pansodia“. Si sono esibiti in successione un centinaio di musicisti, in alternanza a interventi di studiosi di vario ambito e a clip di video-maker. Fra gli altri sono stati particolarmente apprezzabili gli interventi di Claudio Fasoli, in un intermezzo espressivo al sax soprano, prima della riproposta di un breve estratto da un concerto con Stefano Onorati e Marco Tamburini, in ricordo del trombettista scomparso qualche anno fa. Molto curato è risultato il lavoro di Satoyama. Il quartetto torinese ha rielaborato due pezzi dal disco “Magic forest”, esponendo un nu-jazz molto coeso, mentre scorrevano le immagini dei musicisti intercalate a quelle del nostro pianeta da difendere e da salvare. Andrea Rossi Andrea ha ricontestualizzato, invece, alcuni pezzi da “Montelabate”, suo ultimo dvd, con la solita mano estrosa.


Fabio Giachino ha radunato un buon numero di validi solisti piemontesi. Per citare qualche nome: Giulia Dagnino alla voce, Anais Drago al violino, Davide Liberti al basso e Ruben Bellavia alla batteria… La big band ha confezionato un brano per l’occasione tirato e rigonfio di vigore. Ha colpito, inoltre, il breve set di Nico Soffiato grazie ad un solo di chitarra esplicativo, che comprendeva uno spettatore d’eccezione, il suo cane sul divano. Massimo Donà ha unito le sue passioni, la filosofia e il jazz, giustapponendo considerazioni dotte sul numero zero (il video si chiama “Zerologia” per l’appunto ed è realizzato con la partecipazione di altri studiosi) ad un discorso solistico tanto scarno quanto efficace, dove anche i pistoni producevano suono, senza l’emissione del fiato sul tubo di ottone. Paolo Fresu ha elaborato, infine, un vero videoclip, utilizzando loop e fondali vari, intanto che sullo schermo scorrevano parole simili a pandemia, per il suono, non solo per il significato, in italiano e in sardo con opportune definizioni tratte dal vocabolario. È stato questo uno dei momenti migliori di Pansodia indubbiamente.


Il Centro d’Arte della stessa città in anticipo ha mandato online una serie di esibizioni solistiche di jazzisti aperti alla ricerca e alla sperimentazione, riuniti sotto la denominazione di “Musica da Camera”, per sostituire la normale programmazione live. Si sono ammirati in specie il trombonista Filippo Vignato in una esplorazione profonda sulle note multiple, Alessandra Novaga, che si pone, ormai, come l’autentica risposta italiana a Mary Halvorson, la sempre più incisiva Silvia Bolognesi in un solo tanto afroamericano nella ispirazione e nella sintassi.


A Padova, ha risposto l’Emilia Romagna, a partire dal capoluogo, Bologna. Qui ha dato lustro all’evento un duo tromba-batteria abbastanza inconsueto, Fabrizio Bosso e Lorenzo Tucci. Il trombettista si è divertito a duettare con il partner, senza voler “miracol mostrare”, in modo meno virtuosistico, cioè, in ogni passaggio. Tucci ha dialogato con la consueta capacità di star dietro fruttuosamente ai solisti. Simone Zanchini, ancora una volta, ha inteso, invece, coniugare il jazz con il folklore in una prova di un certo spessore, accompagnato solo da sequenze pre-registrate. Da Modena hanno risposto alla città della torre degli Asinelli, Andrea Pozza e Bobby Watson in un set decisamente breve, più parlato che suonato, per introdurre il cd che hanno inciso insieme, di prossima uscita. Prima di loro avevano iniziato la serata la brava vocalist Laura Avanzolini insieme a Michele Francesconi, pianista dal tocco raffinato. Quando suonare standard non è un mero esercizio ripetitivo. Così come qualche giorno dopo Claudio Vignali alla tastiera elettronica ha colloquiato proficuamente, con la giusta empatia, con la cantante Serena Zaniboni su una serie di classici antichi e moderni, nell’ambito della maratona del jazz, una sorta di coda dell’International Jazz Day. Filippo Cosentino, da parte sua, nello stesso spazio orario, in diretta su Lepida TV, ha presentato un programma basato sul suo ultimo disco “Baritune”, ricco di colori e di influenze dissimili, resi adeguatamente dalla chitarra baritono utilizzata anche nel disco. Lo stesso Cosentino è stato animatore di un’analoga rassegna ad Alba, ospitando il 30 aprile musicisti di Cuneo, Asti, ma pure dall’estremo Oriente. Sempre in Piemonte, per Novara Jazz, Francesco Chiapperini ha fatto il botto con una versione assolutamente rigorosa e personale di “Signore delle cime”, canto alpino di notevole incanto, eseguita da un ensemble di fiati più un violino, senza strumenti armonici. Il brano farà parte di un disco dedicato ai canti di montagna a firma dello stesso clarinettista.


A mettere d’accordo tutti, per chiudere in gloria la giornata del jazz, ci ha pensato Pino Saulo riproponendo per Radio 3 Suite il concerto tenuto nel 2017, ancora a Bologna, da Lee Konitz con il suo quartetto. Come noto il sassofonista è scomparso il 15 aprile scorso a 92 anni per coronavirus. Riascoltare la verve e la souplesse dell’allora novantenne Konitz ha portato certamente una ventata di freschezza e di positività in un periodo così critico per tutto lo stato dell’arte.



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