Autoproduzione – 2020
Eloisa Manera: violino, violino elettrico
Emanuele Sartoris: pianoforte
Massimo Barbiero: batteria, percussioni
Continuiamo a diffidare della musica che si auto-proclama descrittiva, a programma, rappresentativa; all’opposto quella nata da suggestioni e tentativi di interscambio tra idiomi diversi ha sovente sortito opere di notevole interesse e profondità. Quest’ottimo Woland non fa eccezione. L’apertura di orizzonti tra differenti linguaggi espressivi, l’uomo sempre al centro, è stata e rimane una buona guida. Barbiero, lettore vorace, ci ha abituati/obbligati a confrontarci con la letteratura antica e recente per provare a meglio comprendere quella e questa. Nato (anche) dalle impressioni derivate dalla lettura del capolavoro di Bulgakov, Woland non tenta in alcun modo di replicarne o tradurre sussulti e inganni, paradossi e grottesca ironia. In fin dei conti poco importa aver letto Il Maestro e Margherita per apprezzare questa superba riflessione. L’ascolto è appagante e vale di per sé. Il percussionista è riuscito a coinvolgere nell’impresa due musicisti “totali”, di gran talento, intelligenza e finezza, che danno qui voce agli assoluti protagonisti della musica euro-colta dei due secoli passati: il pianoforte e il violino. I tre hanno composto una serie di brani, li hanno socializzati e poi li hanno registrati. Non c’è stato un grosso lavoro di preparazione a monte, prima della seduta di fine dicembre, per opzione consapevole. Si è voluto privilegiare un approccio alle composizioni immediato, non mediato da un approfondimento collettivo e metodicamente condotto, cioè, lasciando invece spazio a interpretazioni e improvvisazioni personali sulle partiture eseguite insieme per la prima volta. Il trio ha lavorato, quindi, sulle evocazioni che un testo così pieno di motivi di dibattito, di riflessione, porta al suo interno. La tradizione russa, e dei paesi slavi, ha offerto, secondo questo angolo di visuale, un contributo fondamentale alla proposta musicale. Il riferimento a Bulgakov e alla Russia di Prokofiev e Shostakovich è così facilmente riscontrabile e risolto in maniera non certo banale.
La gestazione, revisione e attesa di pubblicazione definitiva del libro Il maestro e margherita attraversa una parte cospicua del secolo passato, dagli anni ’20 agli anni ’60. Qui par di scorgere, in filigrana, il tentativo, riuscito, di ricapitolare il secolo breve, con i suoi molti orrori, attraverso le sue impronte musicali.
Woland sancisce il debutto di tre musicisti che, pur conoscendosi e stimandosi vicendevolmente, mai avevano inciso insieme prima d’ora. I protagonisti mantengono, all’interno della suite, però, una loro particolare identità. Emanuele Sartoris sfoggia un pianismo romantico, decadente, aperto al dialogo con i due altri sodali. La violinista Eloisa Manera mette in mostra una cultura ampia, dal classico-contemporaneo al folk, al jazz, e un’inclinazione, come scelta estetica, verso l’area sperimentale.
Massimo Barbiero, cui l’etichetta di batterista jazz sta indubbiamente stretta, usa qui tutto il suo strumentario per colorare, sistemare o ricollocare altrove, quanto prodotto da pianoforte e violino.
Impossibile quanto inutile scegliere o analizzare i singoli brani qui caratterizzati da una pronunciata omogeneità di suono e di carattere. Sartoris firma quattro brani, Barbiero due, mentre Eloisa Manera è autrice della lunga Suite dei tre demoni. Il lirismo lacerato di Barbiero si contrappone, in generale, ad una vena energica e ritmicamente assai più rilevata nel pezzo a firma della Manera, mentre Sartoris sembra porsi in mezzo fra i due poli di attrazione,
L’ascolto di Woland può essere doloroso e far male, di quel male seducente e pigro che si trova nel non fare, nel lasciar scorrere, nel non assumersi la responsabilità, per contrastare il diavolo, la negatività.
Il finale dolcissimo, desolante e desolato di Pilato, altra icona di quel male sfibrato e sottopelle che non consente repliche, è un’altra trappola d’ascolto. Ci avvince, ci seduce e culla come in una ninna nanna mortifera per poi aprirsi e concedere uno spiraglio nella magnifica chiusa.
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