Federico Calcagno – Liquid Identities

Federico Calcagno - Liquid Identities

Aut Records – 2020




Federico Calcagno: clarinetti

José Soares: sassofono contralto

Adrian Moncada: pianoforte

Pau Sola Masafrets: violoncello

Nick Thessalonikefs: batteria





Dopo “From another planet”, Federico Calcagno pubblica un secondo disco a suo nome, stavolta inciso ad Amsterdam, dove risiede, in compagnia di giovani e dotati musicisti europei, due greci, uno spagnolo e un portoghese, anche loro di stanza in Olanda. La formazione è abbastanza anomala, prevedendo una front-line costituita dal clarinetto basso e dal sax alto, con il violoncello al posto del contrabbasso, oltre al pianoforte e alla batteria. Nell’album si aprono e chiudono scenari diversi, in una continua mutazione di clima e di tempo all’interno dei vari episodi, il tutto equilibrato dalla lucidità progettuale del bandleader. Così si passa agevolmente da introduzioni informali, in via di esplicitazione, a sequenze su tempo dispari, da ritmi funky a parentesi classicheggianti, sottolineate dall’incedere lirico del violoncello archettato. In ogni piega dei motivi, poi, si incuneano i due fiati che danno vita ad assoli o a botta e risposta contrassegnati da un linguaggio ricco di volute sfasature, con suoni multipli, growl e altre licenze timbriche ben calcolate. Calcagno, in particolare, rivela capacità tecniche, ortodosse o meno, rare ed una entusiasmante espressività sul clarinetto basso, sempre a servizio delle idee compositive, sia chiaro. Non butta via una nota, in poche parole. Josè Soares, da parte sua, dimostra di essersi abbeverato alla stessa acqua del clarinettista, squadernando, oltre che un idioma similare, pure un analogo modo di articolare il fraseggio, stretto, nervoso, con arditi crescendo e calibrati diminuendo di intensità. Nick Thessalonikefs sulla batteria allestisce un accompagnamento molto libero, che va ad intercettare il discorso degli altri strumenti, valorizzandone gli accenti e sottolineandone l’humus ritmico. Adrian Moncada e Pau Sola Masafrets costuiscono una sorta di spina dorsale armonica del gruppo. Moncada, inoltre, punteggia le narrazioni dei due fiati, con un pianismo accortamente percussivo orientato verso i suoni alti. Il violoncellista contribuisce, invece, a sviluppare l’aspetto tematico, oltre a sostituire il contrabbasso, come funzione, quando occorre.


Il pezzo migliore fra gli otto è There was a Rhythm per un assolo devastante del clarinetto basso, in modalità fuoco e fiamme, inseguito dalle sole percussioni. Il resto del brano è su un tempo dispari, portato a progressiva frantumazione dall’opera insistente, accanita, del quintetto.


“Liquid identities” è, in fin dei conti, un ottimo esempio di come si possano integrare influenze diverse, dagli echi popolari ai richiami accademici, amalgamandoli in una realizzazione assolutamente jazzistica, per via della pronuncia, del retroterra culturale dei musicisti coinvolti, tutti persuasi, però, di non seguire la via maestra (il mainstream), ma di cercare percorsi alternativi al fine di produrre qualcosa di qualitativo, fuori dagli schemi e soprattutto personale.



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