Dodicilune Dischi – Ed447 – 2020
Livio Bartolo: chitarre
Aldo Davide Di Caterino: flauto
Pietro Corbascio: tromba, trombone
Giacomo Eramo: sax alto
Andrea Esperti: contrabbasso
Marco Calabretti: batteria, sax tenore
“Don’t beat a dead horse” è un lavoro giocato sulle tensioni: Livio Bartolo alterna in maniera creativa pieno e vuoto, fragore e distensione, impulsi liberi e linee melodiche dal passo enigmatico. Le cinque tracce contenute nel disco rappresentano il percorso di Livio Bartolo alla ricerca di una sintesi tra i codici espressivi dell’improvvisazione radicale, da una parte, e una dimensione più squisitamente narrativa e pacata, dall’altra.
Il chitarrista conduce le varie conformazioni del suo ensemble in un territorio musicale particolare, realizzato attraverso la combinazione di elementi diversi. I quadri sonori disegnati da Livio Bartolo si animano di spigoli e contrasti: slanci collettivi frenetici si alternano a momenti più rarefatti, in molti casi estremamente vicini al silenzio; i riferimenti alle avanguardie storiche e alla musica di ricerca si vanno a compenetrare con il sottile richiamo alle matrici popolari e mediterranee. Nelle sezioni più corali, si possono ascoltare certi echi del suono della banda, tanto presente nell’immaginario musicale della Puglia; in alcuni passaggi affidati agli strumenti in solo, ritroviamo suggestioni pastorali, legate alle tradizioni più antiche del folklore dell’Italia Meridionale.
La ricerca di Livio Bartolo passa poi anche per la scelta di impasti timbrici atipici: la chitarra e i tre fiati, insieme alla ritmica, evocano spesso la dimensione più aspra e ruvida del suono, sottolineano la consistenza materica al suono e cercano la sintesi andando a sviscerare frizioni e fratture. Un’attitudine riequilibrata, come si diceva prima, dalla ricerca del silenzio, del ritmo del respiro, dell’intimità e dell’introspezione.
Livio Bartolo conferma la sua passione per i titoli enigmatici ed intriganti. Nella discografia della Variable Unit, “Don’t beat a dead horse” segue infatti “Ugliness is a beauty thing” del 2018. Il chitarrista spiega il titolo di questo nuovo lavoro con l’intenzione di smettere di sfruttare un cavallo già esausto: superare le soluzioni già praticate per andare alla ricerca del rischio e di nuove strade espressive.
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