Tuk Music – 2021
Marcello Allulli: sax tenore
Francesco Diodati: chitarra, effetti
Ermanno Baron: batteria
Quarta incisione del MAT Trio che, a dispetto del nome (Marcello Allulli Trio?), è formazione collettiva e paritaria. Trio che ha diversi punti di forza, tutti in evidenza in questa ottima prova; la grande coesione, tredici anni insieme sono molti, la grande sintonia forse non solo musicale, traspaiono costantemente sostenendo, anche nei momenti meno a fuoco, il progetto e l’idea di musica sottesa. Avere un progetto condiviso, di impegno e lunga durata, e un’idea di musica chiara sono fatti non comuni, in Italia e altrove, nelle musiche improvvisate. I profeti della morte del jazz, della sua “puzza” mortifera o del suo “trasferimento altrove”, se vorranno, avranno qui diversi elementi per ricredersi: In Front Of “denuncia” in ogni istante come le musiche improvvisate di matrice afroamericana, il jazz, possono ancora essere fragranti e vitali. Per Steve Lacy la vita/vitalità è criterio fondamentale per distinguere la musica di valore dalle altre: qui la ritroviamo insieme a tanto altro. Quelli di Allulli e Diodati sono nomi noti, è invece (almeno per chi scrive) una graditissima scoperta e sorpresa il drumming mobile e vario di Ermanno Baron (non me ne voglia, è solo mia ignoranza), qui sovente insieme propulsore e collante degli sviluppi musicali. Il MAT Trio ha un antecedente importante, in termini di scelta strumentale e quindi timbrici, e qui e là emerge la sincera ammirazione per i colleghi americani, ma a spostare totalmente gli equilibri rispetto al trio di Motian, a cui ci riferiamo, è il drumming energetico o leggerissimo di Baron. Apprezziamo il controllo di dinamica e timbrica, con escursioni rapidissime, la concezione generale del drum set non più solo elemento di sostegno ritmico ma strumento paritario e strutturante che può tacere, partecipare ad un improvvisazione collettiva o suonare “contro” il solista; tutti elementi non nuovi ma poco utilizzati e, in questa occasione, fortunatissimi e assai pertinenti. Tutti i componenti della formazione contribuiscono compositivamente con la prevalenza di Allulli e Diodati: tre brani a firma di ciascuno. La magnifica apertura fatta di nulla: radi suoni di piatti, sibili di chitarra, poi accordi in lontananza che portano ad arpeggi più presenti e al bel tema di Brother; tema lirico, venato di melismi mediterranei ed esposto con piena partecipazione da Allulli. Il brano cresce di intensità molto lentamente, dandosi tutto il tempo (5 minuti scarsi), arriva ad un climax e poi torna a spegnarsi. Qui troviamo condensate molte delle cose migliori che ritroveremo lungo l’incisione con la coppia Diodati-Baron è particolarmente coesa ed efficace. Il seguente River si muove su coordinate simili: apertura chitarristica che alterna e mischia arpeggi, accordi e suoni liberi in dialogo con i piatti e i tamburi di Baron. Poi fiorisce la melodia, ché di tema vero e proprio non si può parlare, sapientemente condotta da Allulli per tutta la durata del brano abilmente e forse ampiamente composto.Qui e altrove Baron è abilissimo ad alternare gli estremi timbrici del drum set: piatti, grancassa, tom a terra. In Front Of (Diodati) è un twist “sciocco” dalla melodia volutamente schematica e banale che si interrompe indebitamente per dissolversi in una scala ascendente, priva di sostegno ritmico per far ripartire il temino; quando il brano si arresta inizia un improvvisazione collettiva molto ben controllata ed eseguita, a dimostrazione dell’interplay solidissimo del trio. L’improvvisazione sale di energia per deviare, dopo un nuovo energico tema, verso accordi siderali e note tenute per una continuazione visionaria e psichedelica degna del miglior Sun Ra. Uno dei brani migliori è Theme For MIgrants (Baron). Ancora la musica nasce dal silelnzio con radi suoni di chitarra e tenore cui presto di affiancano i tamburi di Baron, (qui e altrove con i mallets). Brano melanconico e intensamente lirico, lirismo di cui Allulli è maestro, che procede senza un vero centro melodico-armonico, con rimbalzi continui tra chitarra e sassofono e la batteria dialogante e in funzione timbrica. Dopo alcuni minuti il brano sembra finire e spegnersi, ma la brace che cova riaccende la musica che prosegue per altri 4 minuti senza un centro apparente, senza un tema, con una improvvisazione collettiva magistralmente condotta. I seguenti tre brani, Ornette, Perché, Edele, tutti a firma Allulli, paiono (perlomeno a chi scrive) più tradizionali, fatto di per sé non negativo. Ornette è una dolcissima, delicata ballad, appena mascherata e con una melodia molto aperta, “mediterranea”. Allulli è qui a suo gran agio, più in secondo piano e con un ruolo parzialmente più definito gli altri due. vPerché è forse il tema più debole dell’incisione, ma tanti dissentirebbero; tema troppo scoperto, piuttosto ripetitivo e ripetuto, senza avere la forza necessaria. Quando a metà brano il tema non ricompare più tutto migliora e tornano i paesaggi timbrici, e dinamici già intravisti con una chiusa, delicatissima, per la sola chitarra. Riuscitissimo invece Edele, ancora una ballad ma ripensata, notevolissimi il lirismo quasi esasperato e l’abbandono al canto di Allulli tra i sassofonisti più personali e originali oggi in attività, lontanissimo da licks e patterns neo hard-bop o coltraniani ancora troppo usati e abusati. Jazz del terzo millennio, qualcuno ha scritto, una delle migliori incisioni di questo strano, ancora doloroso, 2021 aggiungo io. Disco e formazione da ascoltare ripetutamente per poterne cogliere le tante sfaccettature e gemme.
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