Origin Records – OA2 22189 – 2021
Rich Pellegrin: pianoforte
Dopo il portentoso lavoro in quintetto “Down”, il pianista e professore di musica all’Università della Florida, decide di isolarsi e dedicare a se stesso e al suo pubblico il suo primo album in solo. Per mettere in piedi questa notevole impresa l’accento si pone immediatamente sulle dinamiche del pianoforte e sul colore. La scelta dello strumento è particolare, si tratta di un pianoforte che risale al 1915 che si trova all’interno della Langley Methodist Church nell’isola di Whidbey vicino alla città di Seattle.
Il timbro di questo piano ha un colore particolare, in una tavolozza ideale di colori l’artista è di fronte alla sua tela bianca e riscopre le tonalità più cupe dotate di una struggente bellezza. Venticinque piccole improvvisazioni della durata massima di qualche minuto, la volontà è quella di delineare piccole epifanie che non raccontano nemmeno delle storie ma suscitano degli stati d’animo delle impressioni, dei momenti fugaci di vita. Poche note usate con parsimonia, ci sovviene Erik Satie come fonte di ispirazione.
Pellegrin gioca con le dinamiche del suo strumento e distilla attimi di gioia e melanconia, un album pensato di getto creato sull’emergenza di esplorare la propria intimità emotiva.
Una pacata serenità e un maestoso incedere caratterizzano la maggior parte dei brani. Improvvisation IV in un minuto si appropria di venature classiche e le attualizza. In Improvvisation VII il suono grave del piano il suo respiro si manifesta con la delicatezza di un soffio di vento. Improvvisation XI è la traccia più lunga dell’album, qui Pellegrin si concede di esporre più concetti sempre avendo l’accortezza di chiudere il motivo con un sensazione di piacevole eleganza.
Un album da ascoltare in cuffia con la mente sgombra da ogni pensiero.
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