“Mind’s Garden” e “Body’s Garden” due nuovi album di Stefano Maltese con il Secta Trio

Foto: la copertina del disco










“Mind’s Garden” e “Body’s Garden” due nuovi album di Stefano Maltese con il Secta Trio

Stefano Maltese pubblica due nuovi dischi singoli separati, “Mind’s garden” e “Body’s garden”, in diretta continuità uno dell’altro, in compagnia di una coppia di compagni di tante avventure, il contrabbassista Giuseppe Guarrella e il percussionista Antonio Moncada. Il trio senza pianoforte è una formula che ha precedenti illustri nel jazz degli anni settanta/ottanta, quello a cui fa riferimento, in qualche misura, la musica del polistrumentista siciliano. Basti pensare, ad esempio, ad “Air” con Henry Threadgill o alle formazioni con questo tipo di organico messe in piedi da Sam Rivers. Maltese alterna sax tenore, soprano e flauto nelle varie tracce e ogni volta usa gli strumenti per illustrare un percorso, raccontare l’episodio di una storia che si riallaccia stilisticamente al jazz afroamericano di Chicago e dintorni, Art ensemble e i santoni dell’AACM come numi tutelari, insomma, ma che contiene elementi etnici, della tradizione mediterranea, magari un po’ mascherati, non così evidenti da scoprire in prima battuta. Il musicista, siracusano di adozione, si esprime, ancora, con un linguaggio temprato nel blues, un blues di ritorno, di sponda, che è, comunque, inglobato nelle sue improvvisazioni/composizioni. Il suono dei sassofoni, del resto, è affermativo e abbastanza ortodosso, con alcune licenze timbriche, però, con il ricorso a qualche nota sghemba e a progressioni su scale piuttosto traballanti, non proprio incanalate su binari paralleli e regolari. Al flauto, invece, il leader del trio transita da note lunghe modulate a passaggi frenetici in cui soffia e spinge sullo strumento di ottone, arrivando a cantarci dentro, secondo una tecnica resa celebre da Roland Kirk. Si ha la sensazione che, pur essendo una proposta in cui l’improvvisazione ha la netta prevalenza, il sassofonista/flautista sappia esattamente dove condurre il gioco e proceda suffragando tappa per tappa il suo piano, che si concretizza nell’istante della invenzione/realizzazione collettiva. Guarrella e Moncada, da parte loro, sanno perfettamente dove sistemare il loro accompagnamento, in virtù di una comunione di intenti e di concezioni, comprovate da una lunga e proficua frequentazione con il bandleader. In particolare il batterista cerca di posizionare il discorso complessivo in ambiti ritmici di ascendenza afro-americana, seguendo la via tracciata da Ed Blackwell o Andrew Cyrille negli anni sessanta-settanta, per capirci, piazzando, in tal modo, una serie di colpi percussivi atti a disgiungere o a ricomporre il flusso articolato della principale voce solista. Il contrabbassista, invece, è sobrio ed efficace in virtù di un pizzicato di sostanza più che di forma e quando ha l’occasione di venire al centro del proscenio lavora ai fianchi i temi portati avanti da Maltese per tirarne fuori lo spirito, il succo.


“Mind’s Garden” e “Body’s Garden”, in conclusione, sono due album emblematici dell’itinerario artistico del musicista palermitano, perché sono il linea con l’idea di un jazz mainstream divergente, con il concetto di “mainstream” integrato, se non capovolto. La “strada maestra” non è quella su cui scorre una musica scontata e rassicurante, cioè, bensì quella che riconosce per modello anche l’avanguardia degli anni sessanta, inserendola nella tradizione stessa, per andare sempre avanti, non fermandosi mai su quanto acquisito.




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