Foto: Roberto Cifarelli
Open Papyrus Jazz Festival “Parole di Jazz”
Ivrea – 14/18.9.2022
L’Open Papyrus Jazz Festival, giunto alla quarantaduesima edizione, prosegue nella sua linea di continuità con le precedenti rassegne, offrendo un ventaglio di appuntamenti che coinvolgono non solo la musica, ma pure altri settori. Così si possono ammirare le foto di Roberto Cifarelli in mostra allo “Spritz”, nella via principale della città del Canavese, o la collettiva d’arte “Musica senza confini” con opere di pittori locali e non solo, presso l’Atelier Eporedia new. C’è spazio per la danza con le coreografie approntate da valenti ballerine sulle musiche degli ultimi cd di Massimo Barbiero. Guido Michelone, il mercoledì, illustra, invece, il suo libro “Io sono un jazzista”, ultima fatica di un autore estremamente prolifico e amico di vecchia data dell’Open. Insomma tanti solo gli spunti atti a stimolare l’interesse e la discussione sui vari tipi di jazz e sulle sue contaminazioni con altre forme di espressione. Il giorno 16, ad esempio, Davide Gamba guida il dibattito su Pavese, sulle sue ultime opere, accanto allo scrittore Gianluca Favetto e all’attore Renato Cravero, da parte sua, chiamato a leggere e interpretare i versi di alcune poesie dello scrittore di S.Stefano Belbo. Dopo analisi e dissertazioni appassionate ancorchè un po’ prolisse, andando a sforare i tempi previsti dal programma di sala, la parola lascia il campo alla proposta del trio “Woland”, arricchito, in questo caso, dalla presenza di un ospite, il cornista scozzese Martin Mayes. Il gruppo procede sulle coordinate del secondo album, “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, titolo anche dell’ultima raccolta di poesie di Pavese, realizzando una musica dai contorni classico-contemporanei e dal contenuto ibridato dalle scomposizioni metriche della batteria di Massimo Barbiero. Le sortite solistiche ispirate del pianista Emanuele Sartoris e della violinista Eloisa Manera, inoltre, esplorano atmosfere romantiche, ma si spingono oltre, suggerendo figure ed elementi di un camerismo free instabile e ricercato. Martin Mayes, in più, si muove bene nell’ordito sonoro intessuto dai partners, aggiungendo il suo timbro netto e affermativo e il suo fraseggio pieno di rimandi all’ambito contemporaneo. Chiaramente, essendo al debutto con “Woland”, Mayes ci mette un po’ a entrare in sincronia con gll altri tre, ma, mano a mano, i suoi interventi diventano più centrati e pertinenti. Al momento questa formazione, con o senza ospiti, sembra promettere sempre ulteriori evoluzioni di musica contraddistinta da un alto lignaggio. C’è da aggiungere che, durante l’esibizione, Barbiero e soci concedono facoltà ad un intervento audace e colto di Davide Ielmini sul loro ultimo album. In un certo senso si concretizza una sorta di riflessione metalinguistica sulla suite, mentre la stessa si materializza davanti agli spettatori.
Alla sera nel cortile del Museo Garda si presenta ad Ivrea Patrizio Fariselli, dopo il forfait del 2021, con il suo “Area Open Project”. La reunion del gruppo, in un primo momento, si è basata sulla riproposizione dei pezzi storici, datati anni settanta. Da un certo punto in poi, Fariselli ha affiancato ai brani più noti produzioni inedite, magari ricavate da studi e adattamenti di canti tradizionali del bacino del Mediterraneo. Il marchio prog, con i tempi dispari a introdurre e a innervare i temi, resta come una sorta di sigillo di garanzia del repertorio “antico”, ma si riconoscono motivi di novità in questa versione dell’Area Open Project. La formazione, invero, è stata più volte rimaneggiata. Dopo Maria Pia De Vito, in forza nella prima ricongiunzione degli Area, più di dieci anni fa, Claudia Tellini si pone come nuova e autorevole cantante dell’ensemble, in virtù di una voce dalle possibilità sconfinate e dal tono drammatico e penetrante. Marco Micheli e Walter Paoli, da parte loro, realizzano un treno ritmico che marcia a pieno regime, sostenendo il piano e le tastiere di Patrizio Fariselli, deus ex machina dell’intera operazione. Si ascolta in totale un’ora e mezza di musica energica e sobbalzante, in cui si mescolano progressive, funky ed etno-rock. Chiude, come spesso accade, il concerto, “Gioia e rivoluzione”, per ricordare i fasti del passato e per rimettere in pista i messaggi di un jazz-rock politicamente militante dell’epoca d’oro del gruppo.
Il giorno dopo, nella sala S.Marta, si esibisce il quartetto di Loris Deval che riprende in larga parte pezzi dal suo ultimo disco “Passi”, oltre a rendere omaggio ad Enrico Rava e al Brasile, passione dichiarata dello specialista delle sei corde valdostano. Brillano in particolare i dialoghi fra lo stesso Deval alla chitarra classica e Maurizio Brunod a quella elettrica, ma anche la cantante Sabrina Oggero e il trombettista Tiziano Codoro offrono il loro contributo per confezionare climi morbidi e invitanti, con nuances latino-americane, dove gli assoli si impongono per grazia e non per asprezza. I quattro, cioè, non hanno la pretesa di sconvolgere il pubblico o di tracciare nuove strade per il jazz. Semplicemente si accontentano di suonare, bene, brani accattivanti, gradevoli, però con una loro indubbia dignità.
Alla sera al posto dell’annunciato, in un primo tempo,”Enrico Rava Edizione Speciale” compare il “Tinissima Quartet”, a causa di una indisposizione del trombettista torinese. Nel quartetto non figura Giovanni Falzone, impegnato altrove, sostituito dal giovane Daniele Raimondi. Il concerto ripercorre le tracce del concept-album “Zorro”, pubblicato nel 2020 e inciso pochi giorni prima del lockdown. Bearzatti introduce i vari quadri, illustrando i termini e il significato della storia dell’eroe mascherato. Il sassofonista è particolarmente in vena, si lancia in assoli turbinosi e travolgenti, macinando note su note, salendo di intensità in progressione e trascinando letteralmente i partners. A Daniele Raimondi spetta la missione quasi impossibile di interpretare le parti di Falzone. Il trombettista non sfigura del tutto al confronto, dimostrando di avere stoffa, ma non si può negare che il musicista siciliano sia di un’altra categoria… La musica abbraccia molti generi, passando da arie spagnoleggianti al blues, dall’iper-bop all’heavy metal ( o quasi) con Danilo Gallo che distorce il dovuto il timbro del suo basso elettrico. Zeno De Rossi, da parte sua, picchia duro sulla batteria, ma sa anche accompagnare in modo più tenero le invenzioni dei solisti. Gli spettatori festeggiano alla fine con ovazioni i quattro protagonisti, autentici virtuosi “caldi”, vale a dire non solo tecnici e stop. E questo tipo di virtuosismo potente e ricco di fuoco interiore , infatti, cortocircuita facilmente fra il palco e la platea.
Alla domenica, insieme a letture provenienti dal libro “Peggio di un bastardo”, il talentuoso contrabbassista, allievo del “Music Studio”, Marco Bellafiore si produce in un tributo a Mingus, nel centenario dalla nascita, presentando il suo ultimo cd “Forme e racconti”.
Si chiude così la quarantaduesima edizione dell’Open di Ivrea, un festival, ancora una volta, capace di attrarre e di sorprendere “Senza abbassare il livello e cercare a tutti i costi il consenso”, come ci tiene a sottolineare Massimo Barbiero, tetragono nel portare avanti questi principi di base nella sua direzione artistica.
Segui Jazz Convention su Twitter: @jazzconvention