Mary Halvorson @ You Must Believe in Spring 2023

Mantova, Auditorium Claudio Monteverdi – 12.3.2023
Foto: .

Mary Halvorson + Mivos Quartet

Mary Halvorson: chitarra
Olivia De Prato: violino
Ludovica Burtone: violino
Victor Lowrie Tafoya: viola
Tyler J. Borden: violoncello

 

 

Mary Halvorson Sextet

Mary Halvorson: chitarra
Adam O’Farrill: tromba
Jacob Garchik: trombone
Patricia Brennan: vibrafono
Nick Dunston: contrabbasso
Tomas Fujiwara: batteria

L’associazione 4’33” di Matteo Gabutti colpisce nel segno e riesce a portare a Mantova due prodigiosi set della chitarrista americana Mary Halvorson: il primo la vede confrontarsi con il quartetto d’archi Mivos Quartet e nel secondo set l’ascoltiamo con il suo nuovo sestetto.

Nel primo set l’incontro con gli archi è magnifico, l’album è stato rilasciato lo scorso anno per l’etichetta Nonesuch e si chiama Belladonna. La Halvorson all’inizio della sua carriera suonava il violino ed evidentemente non ha scordato questo primo amore che l’ha portata a sviluppare un progetto vitale e sontuoso.

La scrittura della partitura risente del modernismo musicale. La Halvorson in una intervista ha fatto alcuni nomi di ascolti che l’hanno influenzata: il quartetto d’archi e piano di Morton Feldman interpretato dal Kronos Quartet e Aki Takahashi, lo String quartet in four parts di John Cage. L’uso importante della dissonanza e anche del cromatismo caratterizzano le tracce.

Il set si apre con Moonburn che progredisce con lentezza permettendo al brano di respirare, la chitarra espone il tema con suono caldo, incisivo, il timbro è irreale, suggestivo sembra provenire da un altro pianeta.

Haunted Head si sviluppa con la chitarra che genera un ostinato su cui si librano le evoluzioni degli archi in un dialogo costruito sulle varie voci degli strumenti che si inseguono, si scontrano, procedono per allusioni e smarrimenti.

Il set si conclude con la traccia Belladonna che schiude una complessità compositiva notevole.

Il secondo set si apre quasi immediatamente con il sestetto. I chorus lunghissimi permettono un’ariosità dei brani non comune. Night Shift, la traccia di apertura, riassume proprio questo concetto con tromba e trombone che si accordano con una consonanza infallibile. Il vibrafono della Brennan si inserisce furiosamente creando una sensazione di insolita estraneità emotiva.

La parte compositiva e scritta contraddistingue tutte le tracce, la Halvorson si ritaglia una posizione quasi da gregaria, lascia spazio ai suoi musicisti e conduce con piglio sicuro il combo. Le idee si sviluppano da un lato con la melodia e dall’altro con l’attenzione agli arrangiamenti e al colore timbrico.

La commistione di jazz e ritmi funky intrisi di una venatura avant-garde distingue l’intero progetto. Amarillys è una traccia esplosiva, batteria e contrabbasso apportano freschezza e inventiva e una propulsione muscolare impressionante. Il contrabbasso di Dunston è preciso pulito nell’esposizione e Fujiwara alla batteria è infuocato nello sviluppare poliritmi continui.

L’omaggio dovuto alla recente scomparsa del sassofonista Wayne Shorter non si fa attendere e con Lady Day, tratto dall’album Soothsayer, la chitarrista trova una vicinanza compositiva, una relazione profonda con un grande compositore. Qui le dinamiche sono smorzate, l’atteggiamento riflessivo, il controllo è sviluppato verso le attese e i silenzi.

Un pomeriggio meraviglioso che ci ha offerto l’opportunità di ascoltare l’intelligenza compositiva di un’artista straordinaria per la moltitudine di idee e la voglia di non porre steccati di sorta tra i generi musicali.

Segui Nicola Barin su Twitter: @ImpulseJazz