Gaia Mattiuzzi: voce
Alessandro Lanzoni: pianoforte
Gabriele Evangelista: contrabbasso
Enrico Morello: batteria
ospiti
Philipp Gropper: sax tenore in The Last Flower in my Hair e Winds of May
Grischa Litchtenberger: elettronica e produzione in Winds of May
Alfonso Santimone: elettronica, fx, beat programming, creative editing in Calyx, The Way of Memories e Riding a Photon
Wanja Slavin: elettronica in About the End of Love
Elias Stemeseder: sintetizzatori in The Last Flower in my Hair
Ludwig Wandinger: elettronica e produzione in The Last Flower in my Hair
AUT Records – 2022
La cantante è autrice di due originals, mentre gli altri titoli sono appannaggio dei musicisti al suo fianco. La coralità nell’aspetto compositivo, indubbiamente, testimonia una partecipazione convinta alla produzione del tipo di suono e di struttura frastagliata dei sette brani, voluta dalla Mattiuzzi. La vocalist, da parte sua, insinua la sua voce su un ordito musicale dove convivono echi romantici, melodie morbide, audaci esplorazioni jazzistiche, ritmi ossessivi, dub, rumorismi effettistici a spezzare l’incanto di determinate arie. La modulazione vocale ondeggia, si alza e si abbassa, come intensità e come colore, fungendo da duttile strumento musicale. In quattro takes, inoltre, la Mattiuzzi interpreta, in maniera straniante e coerente, allo stesso modo, 4 poesie d’amore di Joyce, rendendole attuali o meglio fuori dal tempo ordinario e cronologico. Il contributo dei compagni d’avventura, poi, è fondamentale per la riuscita dell’incisione. Fra i partners italiani, si segnala in particolare Gabriele Evangelista, abile nel lavorare di fino negli assoli, con un portato melodico dai tratti pregiati e di svolgere efficacemente il ruolo di accompagnatore, in simbiosi con il batterista Enrico Morello. Fra i germanici, il compito di ambientare elettronicamente alcuni segmenti è dipanato incisivamente da Wanja Slavin e da Ludwig Wandinger, ma si fa apprezzare in due sequenze, in special modo, il sassofonista Philipp Grapper dal suono ruvido e proattivo.
“Inner Core”, in conclusione, è un viaggio “dentro il nucleo” (come da traduzione in italiano) degli interessi e delle passioni di una musicista completa, dotata di una tecnica vocale indiscutibile e di rimarchevoli qualità come creatrice di progetti originali. Fra il primo disco a suo nome, “Laut”, e il presente sono trascorsi nove anni. È un segnale virtuoso che la Mattiuzzi pubblichi gli album quando ritiene di avere qualcosa di significativo da comunicare e da condividere. Questo non può che esserle ascritto come un aspetto meritorio della sua prospettiva di visione artistica.Segui Jazz Convention su Twitter: @jazzconvention