Eve Risser and Red Desert Orchestra @ Torino Jazz Festival

Torino – 30.4.2023

Eve Risser: composizione, pianoforte, voce
Antonin-Tri Hoang: sax alto
Sakina Abdou: sax tenore
Grégoire Tirtiaux: sax baritono, qarqabas
Nils Ostendorf: tromba, synth analogico
Mathias Müller: trombone
Tatiana Paris: chitarra elettrica, voce
Ophélia Hié: balafon, bara, voce
Mélissa Hié: balafon, djembe, voce
Fanny Lasfargues: basso elettro-acustico
Oumarou Bambara: djembe, bara
Emmanuel Scarpa: batteria, voce

 

«Quando lavoriamo oralmente, iniziamo con grandi blocchi, per ricordare facilmente la musica, prima di rifinire con aghi e filo più piccoli.»

L’undicesima edizione del Torino Jazz Festival, tornato alla direzione di Stefano Zenni, riempie per una settimana il capoluogo piemontese di musica. Protagonista assoluto della presente Giornata Internazionale del Jazz Stefano Bollani in doppio appuntamento: il pomeriggio e la sera con il Danish Trio e in piano solo rispettivamente.

Della scelta, di facile e sicuro richiamo, beneficieranno la bravissima, e ingiustamente poco nota, Eve Risser e il suo numeroso pubblico entusiasta ed energizzato a fine concerto. In una società di stati nazionali, di confini e muri che li proteggono, Eve Risser, con grande intuito e libertà dà vita ad una compagine scopertamente ibrida: musiciste africane e musicisti europei, in pari numero, uniti sotto la guida della pianista e compositrice. A seguito dell’incontro con la musica della maliana Naïny Diabaté e la sua Kaladjula Band nasce una collaborazione, la Kogoba Basigui e prende corpo la meravigliosa formazione del presente concerto Far coesistere una musica di grande evidenza e corporeità, quella maliana, con musicisti europei significa tornare a confrontarsi con le radici del jazz, ma implica e comporta anche diverse altre cose. Accade che forse alcuni di quei musicisti non sanno leggere la musica, perché altrove da qui non è necessario né utile, implica l’impossibilità di prove e incontri stabili.

Nasce così una musica caratterizzata, quasi di necessità, da pochi elementi molto chiaramente delineati: lo splendore ritmico-timbrico della sezione ritmica con il gruppo di percussioni africane (due balafon e djembe) oltre a basso elettrico e batteria, contrapposto alla “sezione” dei cinque fiati armonizzati su temi sovente semplici a note lunghe. Tra questi elementi strutturali, quel «tessuto a trama grossa che diventa trina sottile» come spiega la stessa Risser, una serie potenzialmente illimitata di accadimenti musicali: deviazioni, arresti e ripartenze, aperture su interludi solistici Ogni musicista-strumento trova un suo ruolo individuato-individuale, Eve Risser guida e dà la rotta. Quella della Red Desert è musica semplice solo in apparenza, sotto la superficie emerge l’intelligenza musicale finissima, la rara umiltà e la acuta capacità di ascolto della leader: è lei a dare movimento, varietà e freschezza alla musica in un modo che ricorda da vicino Gil Evans. Qui l’armamentario ritmico-timbrico, infine compositivo, a disposizione è amplissimo è da origine ad una musica sfaccettata e multistrato: uno stop time può aprire su un accordo armonizzato per soli fiati in So, o altrove su un solo di baritono in respirazione circolare, bravissimo Grégoire Tirtiaux.

I due balafon e il djembe aprono Desert Rouge mentre la musica cresce, lentissimamente, in intensità lasciando spazio a diversi soli per arrivare ad un tutti meravigliosamente eseguito. Altrove, in Gamse, una intro di piano subito diventa danza, o l’elettronica, persino troppo discreta, del synth analogico di Nils Ostendorf, chitarra pizzicata e strapazzata da Tatiana Paris. Tutte queste cose, e tante altre, contiene la musica della Red Desert ma soprattutto contiene una grandissima utopia, e il magnifico Soyayya è lì a ricordarcelo: che sia ancora possibile un dialogo tra le persone, oltre i confini che ci autoimponiamo, grazie al potere del linguaggio universale della musica e della sua bellezza.

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