Laura Fedele: voce, pianoforte, fisarmonica, percussioni, cori, tamburo rullante
Veronica Sbergia: voci,cori, ukulele tenore, ukulele baritono, washboard
ospiti:
Marco Brioschi: tromba
Mauro Porro: clarinetto, sax contralto
Lucio Fabbri: violino
Enrico Rava: tromba
Franco Cristaldi: basso
Abeat Records – 2022
Dove va il jazz? In quale direzione? Ci sono musicisti che provano, con la loro proposta, ad offrire una possibile risposta a queste nuove o antiche domande. Laura Fedele e a Veronica Sbergia non sono interessate a questo genere di problematica, in nessun modo. Le due artiste non si preoccupano, cioè, di cercare nuove strade, inediti sbocchi, in qualche maniera, con la loro musica. Non intendono, cioè, svolgere un lavoro di ricerca spinto in avanti verso orizzonti sconosciuti. Le “Jolly Shoes Sisters”, semplicemente, per mezzo di questo cd, compiono un’operazione in controtendenza, andando a riprendere e ad eseguire una serie di classici del jazz degli anni venti, trenta e quaranta, completando l’opera con quattro originals, a firma della Fedele, ispirati a quel sound, e quindi assolutamente vintage. In questo tipo di new revival, fresco e vitale, le due musiciste dimostrano di essere perfettamente a loro agio, divertendosi un mondo nella rilettura di un repertorio che è completamente nelle loro corde. Le voci delle due cantanti, infatti, si inseguono, si intrecciano, raddoppiano negli unisoni, mantenendo un colore e un calore antichi, o meglio anticati. Ci sono dentro una verve, un senso dello swing brillanti, e traspaiono in ogni traccia. È il classico jazz che fa battere il piedino, in estrema sintesi. Laura Fedele, oltre a cantare con il giusto carattere espressivo, si disimpegna benissimo con il pianoforte e la fisarmonica. La Sbregia le risponde a tono, con l’ukulele e lo washboard (tavola per ii bucato) usata nel jazz delle origini. Compare in alcuni brani il clarinettista Mauro Porro, anche al sax in un pezzo, che sembra aver ingoiato Johnny Dodds, tanta è la vicinanza del suo stile a quello del membro storico degli Hot five e dei portabandiera di quel genere. Non è meno efficace Marco Brioschi, con la tromba che letteralmente sparge swing ad ogni passaggio, quando viene chiamato in causa (in due segmenti). Guest star, in una sola traccia, è Lucio Fabbri, camaleontico per definizione, in grado di transitare dalle esperienze con il cantautorato nostrano, all’impersonificazione, in questo caso, di un maestro quale Stephane Grappelli, per mezzo di una “sviolinata” dilettevole e referenziata, in Love my shoes (della titolare del disco). In Like Aretha used to sing, altro brano originale, sono ospiti Franco Cristaldi al basso ed Enrico Rava alla tromba, ad arricchire il clima festoso, celebrativo del jazz d’antan, proprio dell’intera incisione.
In conclusione “Shake your shimmy” è un album di un altro tempo, lontano dalla musica di oggi, ma contiene spunti felici e una amabilità di fondo che possono incontrare i gusti non solo di quanti credono che il jazz sia finito con l’era dello swing, ma anche di quelli che sanno lasciarsi andare e godere di questa musica vivace e sbarazzina.
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