Selinunte, Parco Archeologico – 20/23.7.2023
Foto: Vincenzo Fugaldi
Terza edizione del festival organizzato da Curva Minore presso il Parco Archeologico di Selinunte, ideato da Lelio Giannetto e oggi proseguito da Valeria Cuffaro, Luca Giannetto e Gabriele Sutera. Il cambio di ubicazione del palco (innanzi al Tempio G) ha reso se possibile ancora più suggestiva la rassegna, introdotta dalla Selinus Marching Band in omaggio alle origini del jazz, che si è articolata in quattro dense serate, sfidando le torride temperature estive.
L’apertura era affidata a un incontro fra la OCER, Orchestra Creativa dell’Emilia Romagna (Fabrizio Puglisi pianoforte e direzione, Valeria Sturba violino, voce, theremin, elettronica, Edoardo Marraffa tenore, Tobia Bondesan alto e soprano, Olivia Bignardi clarinetto basso, ospite Silvia Bolognesi contrabbasso) e la Sicilian Music Crew (Tommaso Miranda baritono, Domenico Sabella batteria, Maria Merlino baritono, Luca Valenza marimba, Salvo Casano vibrafono, Benedetto Basile flauto traverso). Un concerto riuscito e suggestivo, con il prezioso impasto pianoforte-batteria-vibrafono-marimba, sfondo ideale per i brani scelti da Puglisi, a partire dall’iniziale tema dell’esponente del jazz etiope Getatchew Mekuria, mirabilmente arrangiato ed esposto dai fiati ed eseguito per la prima volta dall’orchestra, e poi da composizioni originali dello stesso Puglisi, commissionate da festival letterari e da Curva Minore. All’interno del doppio ensemble, l’apporto dei vari componenti è risultato sempre vario e interessante, e gli arrangiamenti hanno valorizzato le diverse sezioni, facendo rendere al meglio l’ampia compagine strumentale, grazie anche alle conduction di Puglisi. Come è avvenuto anche in Flow My Tears di John Dowland, introdotta da Valeria Sturba al theremin, che inframezzava al canto, magnificamente interpretato, testi recitati di Philip Dick. Da citare anche Jungle Party, composto e diretto da Tobia Bondesan. Bis su una composizione di Julius Hemphill, Otis’ Groove, dal programma della OCER eseguito tempo addietro per la direzione di Marty Ehrlich.
La seconda serata, nelle ore pomeridiane, è stata aperta da una conferenza di Gianmichele Taormina sul tema della presenza siciliana nella musica “Jass” di New Orleans, che ha poi ceduto il passo a un breve solo di Edoardo Marraffa al tenore innanzi al tempio E. La serata ha visto l’avvicendarsi sul palco di Valeria Sturba e del duo Fabrizio Puglisi – Francesco Cusa. Con il suo set in solo “La Musica diSTURBA” per voce, violino, theremin, elettronica e giocattoli, Valeria Sturba ha svelato il suo mondo musicale, ricco di passione e poesia, con un sapiente uso dell’elettronica e della loop station. Valeria, secondo chi scrive, in questo suo progetto in solo, si colloca un gradino più in alto di altre musiciste europee che si esibiscono in solitudine, mi riferisco ad esempio a Hania Rani o Kid Be Kid. Ben lontana da derive ambient o dance, Sturba vanta competenze vocali e strumentali, capacità compositive, un repertorio che sciorina preziosità come brani di Tristan Honsinger, canti della sua terra (l’Abruzzo), rielaborazioni su Cajkovskij, persino Loosin Yelav, il suggestivo canto tradizionale armeno alla luna ripreso da Luciano Berio nelle Folk Songs. Ha una capacità di dominare il suo complesso set strumentale, vivace e colorato, con una leggerezza e giocosità di fondo che fanno del suo set un’occasione preziosa.
Il duo Puglisi-Cusa, antichi partner musicali, si è mosso non deludendo le ottime aspettative: il pianista a condurre e il batterista ad assecondarlo, sottolineando, pungolando, in un gioco di sottili complicità. Pianoforte preparato e drum set percosso con la consueta perizia e fantasia, in un lavoro improvvisativo inizialmente aleatorio che è approdato più volte su sicure sponde ellingtoniane, monkiane, mingusiane. Naturalmente, come nelle sue performance in solo anche in questa in duo Puglisi ha dato spazio alla sua leggerezza, con i suoi giocattolini a molla, che smentiscono definitivamente il mito della pesantezza della musica improvvisata. Gran finale improvvisato con gli ospiti Sturba e Marraffa, e bis sorprendente, con una efficace interpretazione di Rosa Balistreri (Mi votu e mi rivotu) da parte di Valeria Sturba.
Terza serata dedicata a due trii. MAMASI (Maria Sole De Pascali, flauti; Maria Merlino, baritono; Silvia Bolognesi, contrabbasso), una nuova produzione di Curva Minore, si incentrava sul ruolo di Bolognesi, che con il suo solido, “nero” pizzicato e l’archetto (e, a tratti, la voce recitante in inglese) mediava fra i flauti e il baritono, nell’esecuzione di composizioni estremamente interessanti, nelle quali spiccava particolarmente la sopraffina tecnica della flautista, che usava la voce per accompagnare i suoi assolo e faceva ampio uso di armonici.
Il secondo trio, Radicetersa, altra produzione di Curva Minore, è nato dall’incontro fra Lelio Giannetto, Tommaso Miranda e Domenico Sabella. Dopo la scomparsa di Lelio, il trio ha recentemente ripreso le sue attività grazie all’incontro con il giovane contrabbassista Alessio Cordaro. Quest’ultimo, allievo di Daniele Roccato, ha riscosso entusiasmo all’interno della formazione, già valida e sperimentata, quale nuovo elemento che ha fornito anche un importante apporto compositivo, avendo scritto per il trio una lunga, intensa, spirituale suite dedicata a Lelio Giannetto, intitolata Wu Wei. Il ruolo di primo piano, nel trio, è affidato al suono perentorio del baritono, mentre la ritmica sottolinea, commenta, puntualizza. Le altre composizioni erano degli altri componenti del gruppo, tranne una di Dudu Kouate. Saluto corale, con l’apporto del trio femminile.
Gran finale con Paolo Angeli: l’artista sardo, reduce dall’incisione di “Rade” e “Níjar, an imaginary soundtrack for Bodas de Sangre by Federico García Lorca”, ha colmato l’ultima serata del festival di magia. Chi ha avuto la fortuna di assistere a un concerto in solo di Angeli con la sua chitarra sarda preparata sa di cosa parlo. Nel suo mondo musicale convivono, in una sintesi sciamanica, il flamenco, la musica tradizionale della sua isola, il Maghreb, l’Africa subsahariana, il prog, il jazz, la musica celtica, in un flusso ammaliante. Angeli ha utilizzato l’improvvisazione, che costituisce gran parte del concerto, come collante, approdando a diverse isole tematiche tratte soprattutto dal citato “Rade”. Dedicato nell’introduzione il concerto a Lelio Giannetto, Angeli ha mostrato buona parte dell’infinita gamma timbrica che lo strumento da lui ideato e perfezionato nei decenni è in grado di esprimere, dalla gestione dei bassi azionati dalle pedaliere, ai bordoni realizzati da motori ed eliche, ai suoni archettati, a quelli del violoncello, ai richiami alla kora e alle launeddas, alla gestione delle testine sulle singole corde che le rende gestibili autonomamente con effetti stereofonici sorprendenti (ad esempio, una corda può avere il suono pulito e un’altra quello distorto). Senza trascurare la sua personalissima voce, attuale eppure antichissima. Finale in piedi, con un canto a cappella del paese di Aggius, in Gallura, e bis tratto dall’ultimo disco dedicato a García Lorca, “Monologo de la Luna”, seguito dalla notissima Corsicana, nella sua versione magnificamente rivisitata alla Tom Waits.
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