Belgrado – 24/29.10.2023
Foto: Vincenzo Fugaldi
Si avvicina al quarantennio il festival della capitale serba, per la direzione artistica di Vojislav Pantic. I concerti si sono tenuti nella consueta funzionale, essenziale e prestigiosa sede della Dom Omladine, e due presso il vicino auditorium MTS Dvorana. L’inaugurazione del 24 ottobre era affidata alla Stankovic All Stars, con i musicisti della storica scuola di musica di Belgrado, che da un trentennio si occupa anche di jazz, a testimoniare l’ottimo livello del jazz serbo. La serata ha visto alternarsi sul palco parecchi giovani, che andrebbero tutti menzionati per la freschezza delle loro interpretazioni.
La qualità dei musicisti serbi è stata confermata la sera successiva dal quartetto di Max Kochetov, nato in Ucraina ma attivo da tempo in Serbia. Dopo un intenso e apprezzatissimo discorso del noto critico statunitense Thomas Conrad, da tempo assiduo frequentatore di tanti festival europei, il concerto di Kochetov, sax alto e soprano, accompagnato da Andreja Hristic al pianoforte, Boris Sainovic al contrabbasso e Miloš Grbatinic alla batteria, e con ospite Fabrizio Bosso alla tromba. Un quartetto affiatato e dinamico, legato alla tradizione dell’hardbop, con assolo brevi e pregnanti. Il leader, ottimo sassofonista, ha concesso ampio spazio all’ospite italiano, che dal suo canto non si è risparmiato, con esecuzioni e assolo impeccabili e come sempre convincenti.
Dagli USA, il trio del pianista Gerald Clayton, con Joe Sanders al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria, formazione dagli ottimi equilibri, in un set delizioso nel quale a composizioni originali del leader si affiancavano anche classici del bebop come Quasimodo di Parker. Delicato e lirico, Clayton è un pianista che mostra ottime capacità narrative e una piacevolissima comunicatività. La serata si è conclusa, in ore notturne, con tre showcase dedicati a gruppi serbi: Victor Tumbas Quintet, Jovan Milovanovic Quartet e Miloš Colovic Trio.
Entrato nel vivo, il festival ha proposto quattro set per sera.
Dalla Polonia, un duo pianoforte-sax soprano la cui formazione risale a parecchi anni addietro: Leszek Mozdzer e Adam Pieronczyk. Mentre il pianista è piuttosto noto in Italia, Pieronczyk, pur essendo probabilmente il miglior sassofonista polacco di oggi, è poco attivo fuori dal suo paese. Entrambi tecnicamente ferratissimi, hanno eseguito soprattutto belle composizioni originali, con l’eccezione di un brano del noto compositore Krzysztof Komeda. Atmosfere evocative di immagini, libertà, lirismo, fraseggio travolgente i tanti punti di forza di un ritrovato duo che ha rappresentato al meglio la grande tradizione del jazz polacco, soprattutto nei brani più lirici e meditativi dove emergeva maggiormente la feconda vena poetica di entrambi. Ma non hanno sfigurato anche una versione ricca di ritmo, con il piano preparato, di Santa Maria dell’indimenticabile Naná Vasconcelos, e il bis, cover di Enjoy the Silence dei Depeche Mode.
Oded Tzur, israeliano da tempo stabilitosi a New York, ha sviluppato, grazie ai suoi studi che vanno dal jazz, alla musica classica e alla musica indiana, una sua particolare tecnica al sax tenore, strumento nel quale mostra uno stile personalissimo. Con due incisioni per Ecm, a Belgrado era accompagnato da un gruppo internazionale, con il connazionale Nital Hershkovits al pianoforte, il contrabbassista greco Petros Klampanis e il batterista brasiliano Cyrano Almeida. Una musica densa di riferimenti mediorientali, ricca e fluida, con dinamiche e progressioni peculiari, eseguita da un quartetto eccellente, come dimostrato anche dall’esecuzione di alcuni brani ritmicamente assai complessi.
Il nuovo quartetto del trombettista finlandese Verneri Pohjola, con Kirke Karja al pianoforte, Jasper Høiby al contrabbasso e Olavi Lohuivuori alla batteria, in vista della imminente pubblicazione del nuovo disco “Monkey Mind” per la prestigiosa Edition Records (disco sul quale il pianista è il britannico Kit Downes), ha suonato un set davvero memorabile, con il caratteristico timbro del leader in primo piano, il suo sapiente uso della loop station e altri effetti. Oltre al fedelissimo batterista, in assoluto uno dei migliori della scena europea, il contrabbassista danese e la pianista estone hanno entrambi contribuito alla qualità del concerto, con le loro eccellenti prestazioni, prodigandosi anche in ottimi assolo, complici anche la qualità delle composizioni originali e gli efficaci arrangiamenti.
Manuel Hermia Freetet, il quintetto che ha felicemente chiuso la serata, oltre al leader al tenore schierava sul palco Samuel Blaser al trombone, Jean-Paul Estévienart alla tromba, Manolo Cabras al contrabbasso e Orio Roca alla batteria. Espansione di un originario trio per soli fiati, il Freetet dell’eclettico sassofonista ha ben messo a frutto le buone qualità solistiche di ciascuno, grazia anche alla validità della sezione ritmica, sia nei brani veloci sia in una gradevole ballad.
La “Large Unit” di Paal Nilssen-Love, formazione variabile esistente da un decennio, a Belgrado era composta da dieci elementi: due batterie, due bassi elettrici e contrabbassi, basso tuba, fisarmonica, chitarra, due sassofoni e una tromba. L’estetica predominante della compagine nordeuropea è quella del free jazz, grazie a una ritmica agguerrita e potente, nella quale la batteria del leader spicca particolarmente, e soprattutto all’apporto del trombettista Niklas Barnö, solista di inusuale carica energetica. Fra brani veloci e spigolosi e altri d’atmosfera, comunque ben strutturati e con adeguato coordinamento fra gli strumenti doppi, la chitarra utilizzata in funzione rumoristica con estrema efficacia, momenti solistici, altri in trio contrabbassi-tuba, un concerto che non ha lasciato indifferenti, dispensando una notevole carica di energia.
Dall’Austria, l’hardboppistico e avanzato quintetto del sassofonista Fabian Rucker, altro momento centrato della serata, un buon gruppo coeso composto da validissimi strumentisti guidato da un leader ottimo solista sia al sax alto sia al tenore e al soprano, strumento che ha utilizzato per un sentito omaggio a Charles Lloyd. E, a seguire, “Ascetica”, suggestiva proposta del contrabbassista portoghese Hugo Carvalhais, insieme a due sax, il connazionale Fábio Almeida e il lituano Liudas Mockunas, il primo più lirico il secondo più orientato al free, due tastiere (Fernando Rodrigues e Gabriel Pinto) e Mario Costa alla batteria. L’incrociarsi fra le due diverse personalità dei sax, come quello fra le tastiere, sostenuti da una ritmica fenomenale (Mario Costa è uno dei più ferrati batteristi europei), insieme a composizioni dal grande fascino ottimamente arrangiate, con gradevolissimi profumi progressive, hanno determinato la riuscita del set. A concludere la serata, in un vero e proprio crescendo, il concerto “Things Serbia did to me” del sassofonista e vocalist Hayden Chisholm, con i giovani serbi Ivan Radivojevic alla tromba, Milica Božovic al contrabbasso e Peda Milutinovic alla batteria. Cittadino del mondo, musicista eclettico e sorprendente, Chisholm è arrivato a Belgrado nel 2016, e nel 2022 vi ha aperto il BAM club. Un suono di sax alto personale e ricco di sfumature, usa anche la voce in modo molto particolare, con tecniche che a tratti ricordano Demetrio Stratos. La sua proposta, ricca di spunti provenienti dal folclore serbo ma anche di tanto swingante bop, era magnificamente spalleggiata dai tre giovani serbi, tutti ottimi musicisti, con in primo piano la efficacissima tromba di Radivojevic. Un quartetto che meriterebbe tour in palcoscenici di tutta Europa.
La giovane trombettista e cantante catalana Alba Careta, alla guida di un quintetto composto da Lucas Martínez al tenore, Roger Santacana al pianoforte, Giuseppe Campisi al contrabbasso e Josep Cordobés alla batteria ha pienamente convinto con un set nel quale si alternava fra tromba e canto, eseguendo alcune canzoni in catalano, tra le quali anche alcune del celebre Lluís Llach. Molto sicura sul palco, accompagnata da ottimi musicisti, tutti catalani tranne il contrabbassista siciliano che vive a Barcellona, ottima strumentista anche elogiata pubblicamente da Dave Douglas, Careta si è prodigata anche in un assolo voce-batteria assolutamente memorabile. Non si può inoltre non citare la competenza del pianista, fine armonizzatore, con un bel senso della costruzione musicale. Richiestissimo bis sulle note di Blackbird.
Il nuovissimo trio di Dave Douglas, “Gift”, schiera Rafiq Bhatia alla chitarra ed elettronica e Ian Chang alla batteria ed elettronica. Bhatia e Chang, di origini asiatiche, quasi coetanei, provengono dalla scena del rock sperimentale, in particolare dalla band “Son Lux”. I due insieme suonano come una intera orchestra, e lodevolissima è l’apertura di Douglas a queste nuove sonorità, che hanno dato inedita veste alle sue nuove composizioni, eseguite insieme a un paio di standard. Il grande lavoro della chitarra, la sontuosa profusione di suoni elettronici, l’appropriata carica ritmica di Chang, il vivissimo blues feeling e la assertiva tromba del leader fanno di questa una delle belle realtà del jazz di oggi, facendogli fare un piccolo ma significativo passo avanti. Non resta che auspicare di ascoltare questo splendido trio, che sul palco si annuncia perfetto sin dalle prime note, su una registrazione discografica.
Isaiah Collier, classe 1998, con i suoi Chosen Few: Benito Gonzalez-pianoforte, Micah Collier-contrabbasso e Michael Shekwoaga Ode-batteria. Dalla feconda scena chicagoana un nuovo alfiere dello spiritual jazz, con un gruppo eccelso, in una intensa proposta di atmosfere e ritmi che si richiamavano apertamente a Pharoah Sanders. Al tenore Collier è esaltante, ma è anche ottimo cantante, con una voce limpida ed efficacissima. Un concerto coinvolgente, che ripropone un linguaggio non certo nuovo, ma che lascia intravedere grandi potenzialità di espressione personale. Una menzione particolare per il pianista, venezuelano attivo a New York, semplicemente un asso della tastiera.
Da anni Stefano Di Battista porta avanti un progetto sulle composizioni per il cinema di Ennio Morricone. A Belgrado, accompagnato dal pianista francese Pierre Nardin e dai connazionali Daniele Sorrentino al contrabbasso e Luigi Del Prete alla batteria, ha ancora una volta centrato l’obiettivo di restituire in chiave jazzistica, con degli ottimi arrangiamenti, le musiche morriconiane, scegliendo spesso fra alcune meno note, con un accompagnamento puntuale e i suoni sempre convincenti dei suoi sax alto e soprano.
John Scofield, per la terza volta a Belgrado, ha presentato i brani del suo recente disco doppio ECM “Uncle John’s Band”, con il medesimo trio che ha realizzato l’incisione, Vicente Archer al contrabbasso e Bill Stewart alla batteria. Fra Bob Dylan e Ray Brown, ma con due sentiti e importanti omaggi a Carla Bley (Lawns e Ida Lupino), il notissimo chitarrista ha ancora una volta convinto, con i suoi inconfondibili timbro e fraseggio e con la felice interazione con gli ottimi partner.
Leïla Martial & Valentin Ceccaldi, il duo “Fil”, hanno presentato il loro lavoro in duo di prossima uscita “Le Jardin Des Délices”. Fra canzone francese (Barbara, Au bois de Saint Amande) e una composizione di Manuel De Falla (Asturiana), un duo felicemente creativo che combinava le non comuni doti vocali e l’eclettica fantasia improvvisativa di Martial con la superlativa tecnica del violoncellista, in un set di elevata qualità. Altrettanto qualitativamente riuscito il concerto finale del festival, affidato sempre a musicisti francesi, il quartetto “Troubadours” del sassofonista Sylvain Rifflet, con Yoann Loustalot alla tromba, Sandrine Marchetti all’harmonium e Benjamin Flament alla batteria.
Non resta dunque che attendere il 2024, anno nel quale il festival della capitale serba festeggerà il quarantesimo compleanno.
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