Arcana Edizioni – 2022
Foto: la copertina del libro
Guido Michelone torna ad occuparsi di Jazz europeo, con il presente volume, che viene pubblicato a distanza di 6 anni dal più breve e meno ponderoso, quindi, “Il jazz in Europa”. Nel precedente libro, il critico e saggista vercellese affrontava il tema globalmente, da un punto di vista storico-cronologico, allegando, poi, una serie di recensioni a dischi particolarmente significativi a firma di musicisti del Vecchio Continente, registrati nelle varie epoche. Nella nuova opera, invece, Michelone lavora analiticamente, descrivendo la nascita e lo sviluppo successivo della musica jazz «in sei città, due regioni, ventotto stati sovrani, due ex nazioni e due realtà trasversali» come si legge nella premessa, strutturando il libro, così, in 33 capitoli, ognuno dei quali dedicato ad un’area geografica specifica. Va dato atto, prima di tutto, all’autore di aver compiuto un notevole sforzo per documentarsi sulla musica di Paesi tante volte fuori dai circuiti più battuti, fornendo, in tal modo, notizie e informazioni non proprio conosciute, in generale, e di sicura attendibilità. Colpisce, poi, la scelta di Michelone per una asistematicità di fondo, dichiarata dall’inizio. Pur seguendo uno schema fisso, inquadramento storico e musicale dell’area scelta, elenco di dischi particolarmente rilevanti, breve recensione di un certo numero di album, infatti, sovente un aspetto prende nettamente il sopravvento sugli altri. Sì perché nella disamina del jazz di questa o quest’altra zona europea, in determinati casi, è preponderante l’attenzione per la prospettiva politica e sociale, in special modo per i paesi dell’Est, o per quelli che hanno vissuto lunghi periodi sotto una dittatura, come il Portogallo o la Spagna. In tutti gli stati dominati da poteri autoritari, è notorio, il jazz è vissuto a lungo nella clandestinità o è arrivato al pubblico attraverso un qualche tipo di mascheramento, per aggirare l’imperante censura. È capitato, ad esempio, in Germania, durante il nazismo, dove il jazz veniva suonato e ballato nei locali sotto il nome di comodo di “Tanz muzik”, senza provocare condanne penali per i gestori delle sale o per gli strumentisti. La fine della dittatura, spesso, è coincisa con la scoperta o la rinascita della musica jazz, non per caso, in molti stati.
In altri contesti, invece, sono gli aspetti musicali, o la presenza di qualche personaggio di riferimento, magari sottovalutato o non abbastanza considerato, in linea di massima, ad occupare il, centro dell’argomentazione. Si pensi, per il capitolo “Ungheria in jazz”, a Gabor Szabo, di cui viene tratteggiata la figura e di cui viene sottolineato il valore, come chitarrista e come compositore, non apprezzato, secondo i suoi meriti, universalmente, o al Ganelin trio, fulgido esempio di jazz nazionale e internazionale, capace di dar lustro alla scena musicale della Lituania.
La narrazione, inoltre, prende spunto da interviste, come avviene per l’Italia, dove vengono riportate le posizioni e le idee di Ada Montellanico, presidente dell’associazione dei musicisti jazz italiani per 4 anni, o per la città di Londra, dove, per illustrare il polso della situazione, è chiamata in causa la cantante italiana Filomena Campus, attiva attualmente nella City.
Michelone, poi, in qualche caso si lascia andare ad un personalismo piuttosto accentuato. Ci si riferisce, in particolare, al capitolo riguardante “La Francia e il jazz”, in cui il giornalista piemontese racconta i suoi viaggi oltralpe, corredandoli con l’elenco dei dischi acquistati, i concerti visti e i personaggi più o meno famosi incontrati e/o intervistati. D’altra parte, già nell’introduzione, i lettori sono avvertiti. Il libro nasce da una serie di appunti, di carattere quasi sempre, giocoforza, eterogeneo, ed è «individuale e anche un po’ individualista», con le stimmate del «Work in progress in piena libertà». A questo punto il titolo esatto del volume avrebbe potuto essere “Il jazz e l’Europa visti da Michelone”. Non sarebbe stata sicuramente una forzatura…
Fatte queste debite distinzioni va confermato che il testo è di agile lettura e consultazione. L’autore sa semplificare problematiche anche complesse e porgerle agli eventuali lettori con un efficace tono divulgativo , derivante anche dalla sua annosa esperienza didattica nelle scuole e nei conservatori.
Per quanto riguarda, invece, il tema centrale, se esista o meno un jazz europeo, è giusto riportare il parere di un contrabbassista russo, ma che ha soggiornato parecchi anni anche in Italia, Yuri Goloubev: «Non esiste il jazz russo, come non esiste il jazz tedesco, olandese, danese. Esiste, invece, il jazz suonato da musicisti russi, tedeschi, olandesi…» Su questo punto, ovviamente, il dibattito rimane aperto e le posizioni contrastanti o del tutto opposte sono nell’ordine delle cose.
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