Makaya McCraven: batteria
Marquis Hill: tromba, percussioni
Matt Gold: chitarra elettrica, percussioni
Junius Paul: basso elettrico, percussioni
Milano – 5.11.2023
Foto: Andrea Gaggero
Serata conclusiva di JAZZMI, «rete di sinergie che collaborano insieme per la crescita, lo sviluppo e la diffusione del jazz» come si autodefinisce e tale effettivamente pare essere. Ma tantissimi appuntamenti, di valore e interesse alquanto disuguale, disseminati tra Milano e dintorni prossimi non aiutano a chiarire l’intento. Spicca tra le date quella del presente quartetto: una delle cose belle accadute alle musiche afroamericane in quest’ultimo decennio. Prodotto genuino dell’underground chicagoano McCraven è qui alla guida di un quartetto rodatissimo, come l’alchimia e l’interplay con l’inseparabile Junius Paul evidenziano. I primi brani, interlocutori, paiono segnati da apparente stanchezza e da un equilibrio fonico discutibile: non lasciano così presagire le meraviglie che seguiranno. È il semplicissimo seducente riff di Dream Another a scaldare la band e il pubblico. Una decina di album da leader in altrettanti anni, tantissime collaborazioni in situazioni musicali diverse, dallo straight ahead jazz, all’hip-hop, dall’avanguardia al rock, sono il retroterra di un musicista dotato di grande curiosità intellettuale, apertura al dialogo musicale e immenso talento. Compositore, produttore, rielaboratore di proprie incisioni, McCraven è autore riconoscibile e una delle più interessanti espressioni della musica afroamericana oggi. «Non cerco di fare del free jazz da tutto ciò. Cerco solo di creare la migliore musica possibile e non so neppure se chiamarla jazz. È un termine adatto per indicare cosa faccio ma forse non è necessario etichettarla in questo modo». Manifesto di intenti perseguito con rigore e intelligenza. La grande sapienza produttiva, compositiva e di ricomposizione in post produzione, risulta ovviamente sacrificata nel presente live set. La ampia palette timbrica e di invenzioni sonore viene comunque rievocata grazie alla maestria di Junius Paul e alla pedaliera di Matt Gold. Rimangono invece in bella evidenza i temi ariosi, cantabili, sovente dolcissimi della felice penna di McCraven. L’invenzione ritmico-melodica è dote preziosa: diversi temi memorizzabili, dal profilo cantabile, che paiono fluire e invece si inceppano per i ripetuti stop, mirabilmente eseguiti. La musica di McCraven non teme le ripetizioni, le cellule motiviche elementari, i temi di due note contro le complesse figure ritmiche: anche in questa idea di musica è primario il “come” rispetto al “cosa”. Si susseguono così, senza soluzione, alcuni dei brani più riusciti del repertorio, inutile citarli o passarli in rassegna. La semplicità, comunicatività e la capacità di fondere in un insieme, coeso e coerente, i propri ampi orizzonti culturali e musicali, fanno della musica del batterista un esempio luminoso di cosa possa essere oggi la musica afroamericana. Il quartetto non è un caso isolato: la scena chicagoana, con l’etichetta International Anthem in testa, e la scena londinese condividono una nuova, fresca consapevolezza delle proprie radici, più e meno recenti, senza timori e ostentazione nel ritrovare nuove idee negli angoli della musica afroamericana degli ultimi decenni.
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