Luca Tilli: violoncello
We insist! – 2023
Luca Tilli è un violoncellista d’assalto, pronto ad imbarcarsi in sempre nuove avventure, sapendo scegliere con cura i partners con cui dialogare. Dopo il precedente “Down at the docks” registrato con il trombonista Sebi Tramontana, la We insist! Pubblica un nuovo album a firma di Tilli inciso in completa solitudine, banco di prova non proprio agevole per ogni artista afferente a qualsiasi genere musicale. Il violoncellista si cimenta nel compito con il piglio giusto e, in meno di quaranta minuti, palesa tanta sapienza strumentale e idee compositive-improvvisative non secondarie. Anzi, si può proprio affermare che le qualità tecniche siano a completo servizio dell’atto creativo.
La proposta è sviluppata su sedici brani, otto dei quali formano la suite Empty smile (che si può tradurre in “sorriso vuoto, frivolo”). Il violoncello, il più delle volte archettato, procede con tratti irrequieti, con passaggi veloci e pieni di saliscendi, dalle note gravi a quelle iper-acute, andando a costruire climi espressivi fra il classico-contemporaneo ed il jazzistico, dove si avvertono le influenze ben metabolizzate dei grandi maestri dell’avanguardia, campioni sullo strumento specifico, da Tristan Honsinger a Leroy Jenkins passando per Ernst Rejsegeer. Quando Tilli utilizza il pizzicato, invece, il violoncello ha un incedere contrabbassistico, spostando il baricentro verso il jazz, di un certo tipo, ovviamente, per “compensare”, verrebbe da dire, le numerose fughe in avanti su atmosfere a-sincopate, di matrice accademica, presenti nel cd. Nel disco, poi, si ammirano la tecnica ortodossa, di cui è padrone Tilli, capace, però, di prendersi una serie di licenze verso il non convenzionale, l’irregolare. Fra le pieghe del discorso si possono, infatti, individuare sequenze in cui l’archetto o le dita battono sulla cassa armonica dello strumento producendo musica autentica, intendiamoci, oppure si ascoltano suoni doppi o altri stridenti, ai limiti delle possibilità del violoncello. In altri momenti, ancora, si percepiscono fruscii sordi, prossimi al silenzio, o rumorismi assortiti, mai fini a sé stessi. È una vera e propria rassegna di procedure eterodosse, assimilabili, però, proficuamente al contesto.
“Empty smile”, in conclusione, è l’opera prima, in solitudine, di un musicista felicemente inquieto e non appagato, perché è proprio da questo stato di insoddisfazione estetica, nei confronti del già sentito o provato, che possono nascere album come questo, che non vogliono divertire o consolare sicuramente, ma che possono fornire occasioni di ascolto prezioso e vivificante.
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