Foto: Vincenzo Fugaldi
Chi scrive ha seguito il festival altoatesino per alcune giornate, nella parte centrale. L’impressione di massima è che il festival, con la attuale direzione artistica curata da Stefan Festini Cucco, Max von Pretz e Roberto Tubaro, prosegua sulla rotta già tracciata dalla precedente direzione di Klaus Widmann, continuando a costituire una vetrina sul jazz europeo di qualità, creando occasioni di incontro inedite e spesso preziose fra musicisti, e utilizzando spazi diversi sempre confacenti al tipo di musica che viene eseguita. Come nel caso di Tilo Weber-Theo Ceccaldi, presso la Waaghaus Keller di Bolzano: sin dalle prime note si sarebbe detto che si trattava di un duo di vecchia data, coeso e affiatatissimo. E invece si erano incontrati per la prima volta pochi minuti prima al soundcheck. Insieme hanno realizzato un finissimo lavoro sul connubio tra i suoni dei loro strumenti, il violino e la batteria. Una mirabile capacità di ascolto reciproco, una magica integrazione e interazione per un set stringato e riuscitissimo, vera esemplificazione dell’arte dell’improvvisazione in duo. Entrambi curano molto la qualità dei suoni dei rispettivi strumenti, Ceccaldi anche con l’uso di una pedaliera che impreziosisce le sonorità calde dello strumento e con la voce, Weber con una quantità di piccole percussioni e campanelle che arricchiscono la gamma di colori di cui dispone. Ne è venuto fuori un dialogo fra pari raffinato, coinvolgente, ricco di sfumature, di gusto elevatissimo.
È dunque proprio questa una delle caratteristiche del festival altoatesino, che lo rendono valido e insostituibile: presentare i nomi più creativi della scena europea, farli incontrare, creare situazioni inedite che a volte centrano magnificamente l’obiettivo.
Così è stato anche nel caso dell’incontro fra la cantante Sofia Jernberg e la sassofonista Mette Rasmussen: due punte di diamante del jazz europeo in una location altamente suggestiva di Bolzano, il Bunker H, per dei brani di improvvisazione senza preordinazione dal sicuro fascino. La voce liricamente impostata della cantante nata in Etiopia transitava con disinvoltura verso sperimentalismi vocali degni del miglior Demetrio Stratos, mentre la sassofonista danese imprimeva al suo strumento, il sax alto, una vasta gamma espressiva, confermandosi come una delle più alte personalità europee del momento. Finale con un’improvvisazione che partiva dalle note della monteverdiana Sì dolce è ‘l tormento.
Velvet Revolution è il nome del trio, esistente da alcuni anni, che vede insieme il sax tenore del tedesco Daniel Erdmann, il violino di Theo Ceccaldi e il vibrafono del britannico Jim Hart. Il trio è attivo da un bel numero di anni (il loro disco “A Short Moment of Zero G” è del 2016). Bell’impasto strumentale con il fascinoso suono del tenore in buona evidenza, pronto anche a mettersi da parte relegandosi al ruolo di accompagnatore per far spazio ai due partner, entrambi efficacissimi sui rispettivi strumenti. Composizioni originali molto interessanti, di genere non definibile, ma con tratti di influenze minimaliste, e finestre ritmiche. Un progetto di una certa freschezza e originalità, gestito da musicisti che vantano padronanza di diversi linguaggi, jazz compreso, senza tuttavia mai avventurarsi in territori avanguardistici.
Meno incisivo il quintetto Nancelot, quattro flauti traversi in mani femminili e la batteria di Tilo Weber. Musica scritta, con prevalenza di atmosfere dal classico all’impressionista al contemporaneo, con una rigidità di fondo che non veniva scalfita nemmeno dalle belle sottolineature ritmiche di Weber.
La tradizionale residenza allo Stanglerhof, a Fié allo Sciliar, ha visto insieme un trio composto da Ruth Goller (basso elettrico e voce), Mirko Pedrotti (vibrafono e percussioni) e Daniel Klein (batteria). Echi wyattiani, rimembranze progressive, il concerto si è snodato mescolando la voce e il basso della Goller con la batteria di Klein e gli strumenti di Pedrotti, che ha duettato con il batterista mostrandosi, oltre che ottimo vibrafonista con un buon senso dello swing, anche efficace percussionista.
Il consueto appuntamento presso la distilleria Roner ha visto ancora una volta una piccola formazione in azione, Pamelia Stickney al theremin e Peter Rom alla chitarra elettrica. Fra brani originali e cover (fra cui una di Tom Waits), un uso a tratti anticonvenzionale dello strumento (stoppando le note), il concerto, pur adattandosi al luogo, non ha lasciato una particolare traccia. Analogo discorso va fatto per il concerto, frutto di un’altra residenza, fra il pianista Simone Graziano, il batterista Julian Sartorius e la vocalist Camilla Battaglia. Se pianoforte e batteria si integravano alla perfezione, non altrettanto può dirsi per l’inserimento della voce. Anche il giovanissimo quintetto francese Jet Whistle, capitanato dalla flautista Fanny Martin, pur con degli interessanti spunti dovuti principalmente all’incrocio tra flauto e trombone e a una certa temperie minimalista e progressive, non è andato oltre un set garbato ma ordinario.
Ben riuscita invece la risonorizzazione di un film del 1924, reperito a cura del Bolzano Film Festival, “Mr. Radio”, una pellicola realizzata in Germania dal regista italiano Nunzio Malasomma. La pellicola, molto interessante perché esemplificativa di una certa concezione vigente all’epoca relativamente allo stereotipo dell’eroe virile, è stata rimusicata per la sua intera durata di 76′ dal sassofonista Daniel Erdmann, Olga Reznichenko alle tastiere e Francesca Remigi alla batteria. Un bel lavoro compositivo e soprattutto di improvvisazione, che commentava le sequenze del film e ne sottolineava i momenti di suspence e di violenza con grande energia. La stessa Reznichenko, russa stabilitasi da lunghi anni in Germania, ha suonato poi nel giardino del Parkhotel Holzner con il suo trio (Lorenz Heigenhuber al contrabbasso e Max Stadtfeld alla batteria), stavolta non le tastiere ma il pianoforte, mostrando ottime qualità pianistiche, all’interno di un trio solido ed equilibrato, fra composizioni originali e un omaggio a Andrej Tarkovskij con un brano dalla colonna sonora del film Solaris. Pianista dall’ottimo gusto, Olga Reznichenko, che vive a Leipzig, è un nome di cui penso sentiremo parlare più spesso.
Il concerto più significativo della parte del festival che chi scrive ha seguito si è tenuto al campo base, il Parco Cappuccini di Bolzano. ØKSE è un progetto in quartetto commissionato nel 2022 dal festival di Saalfelden a Mette Rasmussen (sax alto) e alla batterista Savannah Harris. Gli altri due elementi coinvolti sono il contrabbassista Petter Eldh e la “sound chemist” Val Jeanty (nella foto), docente alla Berklee di origini haitiane. Un singolo già uscito e un album previsto per il prossimo agosto, ØKSE è una delle realtà più entusiasmanti del jazz attuale, che si sta ponendo sempre più in solidissime mani femminili. Merito di un formidabile mix di talenti, capaci di dialogare ai massimi livelli creativi in un linguaggio avanzato ma comunicativo, fortemente ritmico (Harris è una garanzia in tal senso), ricco di colori e sfumature forniti dalla incredibile fantasia di Jeanty (che fa anche uso di voci preregistrate), sostenuto dal granitico Eldh, e con in primo piano la perizia solistica di Rasmussen che si conferma come una delle migliori sassofoniste (uomini compresi intendo) europee odierne. Concerto trascinante e superlativo, altra pietra miliare nella storia del festival.
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