Francesco Bearzatti: sassofono tenore, clarinetto
Stefano Risso: contrabbasso, elettronica
Mattia Barbieri: batteria
Auand Records – 2024
“Anatomia di un omicidio” è un film del 1959, con la regia di Otto Preminger, famoso anche perché la colonna sonora è di Duke Ellington, che compare in una scena della pellicola in veste di pianista. Stefano Risso si ispira a quelle musiche per comporre sei brani originali, che contengono schegge di quella colonna sonora, e un pezzo, a completare l’album, in cui si materializza un dialogo virtuale fra la big band del Duca ed il trio protagonista del cd. L’operazione si svolge su piani comunicanti, con l’elettronica che fa da collante o da elemento di apparente disturbo, fra i due mondi, le sonorità swinganti dei temi ellingtoniani e gli sviluppi imbevuti nel funky, nel rock, nella contemporaneità, insomma, portati avanti da Bearzatti e soci. Il sassofonista friulano domina la scena con un solismo ardente, traboccante energia e blues, capace di trascinare il trio verso momenti impetuosi, di forte tensione, soprattutto quando usa il tenore, o di calmare le acque con parentesi cogitabonde, raccolte, fino ad un certo punto, si intende, quando soffia sul clarinetto. Stefano Risso, attraverso l’elettronica, realizza un sottofondo tecnologicamente increspato, che ispessisce l’aria e fa da quarta voce espressiva del gruppo. Il contrabbassista, poi, diventa accompagnatore-propulsore sul suo strumento d’elezione e si cimenta, pure, in parentesi solistiche piene e vigorose. Il batterista Mattia Barbieri vanta una notevole esperienza nel jazz e nel pop e, anche lui, combina le rispettive influenze sfoggiando un drummin’ multistilistico, vitale ed incalzante.
Il brano migliore del disco è sicuramente A La Guy Lombardo-More blues-A La Guy Le Querrec in cui si attua una mescolanza di temi e di melodie, come avrebbe potuto fare John Zorn, secondo una affermazione di Risso stesso, creando una sorta di “Ellington nella centrifuga”. Viene in mente a questo punto “Spillane”, disco iconico del sassofonista americano, dedicato anche questo ad un noto scrittore di libri polizieschi. Non siamo tanto lontani, come genere, cioè, da “Anatomy for the murders”. E proprio non aver spinto sull’acceleratore in questo senso, in questo tipo di approccio sovvertitore, costituisce un qualche limite dell’album, che è sicuramente buono, ottimamente suonato da un trio di musicisti di livello, ma che avrebbe potuto raggiungere esiti artistici ancora migliori, se si fosse privilegiato lo spirito iconoclasta da cima a fondo nella messa a punto dell’opera.
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