Bari in Jazz 2011: Suite for Battling Siki & Miles Davis.

Foto: Davide Del Giudice





Bari in Jazz 2011: Suite for Battling Siki & Miles Davis.

Bari. Intervista a Mauro Gargano.


Tra le produzioni originali presentate durante l’ultima edizione del Bari in Jazz, dedicata quest’anno a Miles Davis, una in particolar modo ha celebrato la relazione tra il trombettista e la boxe, suo sport d’elezione. Un progetto musicale che ha avuto il merito di riportare alla luce la storia di un dimenticato protagonista di questo sport: il pugile franco-senegalese Mbarick Phal, meglio conosciuto come Battling Siki. Una storia di pugilato e di vita, risalente ai primi anni del secolo scorso, che ben rappresenta luci e ombre che spesso accompagnano questa pratica sportiva. Il contrabbassista Mauro Gargano ha scelto di raccontare questa emblematica e controversa vicenda sportiva attraverso una suite ad essa dedicata.



Jazz Convention: Iniziamo dall’introdurre Battling Siki, chi era?


Mauro Gargano: Battling Siki, alias Mbarick Phal, è stato il primo campione del mondo africano nella storia della boxe, e se vogliamo indirettamente il primo”europeo di colore” a conquistarlo. Era senegalese di Saint Louis, ma di passaporto francese in quanto il Senegal all’epoca era una colonia francese. È diventato campione dei mediomassimi il 24 settembre del 1922 a Montrouge battendo contro ogni pronostico il campione del mondo dell’epoca: “l’iperprotetto” Georges Carpentier. È stato un personaggio straordinario dalle mille vite: eroe pluri-decorato nella guerra del ’14-’18, ha lottato contro i pregiudizi razziali ed è stato per molti un precursore delle lotte per l’indipendenza degli afroamericani, ma stranamente da noi in Europa non è molto ricordato.



JC: Come nasce questo progetto musicale a lui dedicato e quali sono state le varie fasi di scrittura dei brani?


MG: Roberto Ottaviano, direttore artistico del Bari in Jazz, ha dedicato la programmazione di quest’anno a Miles Davis per il ventennale della sua scomparsa. Per questo motivo mi ha contattato chiedendomi di realizzare un progetto espressamente per il festival e di dedicarlo al grandissimo musicista afroamericano. Essendo al corrente del fatto che la maggior parte degli invitati del festival avrebbe omaggiato Miles in tutte le salse possibili, e non essendo io un amante degli “omaggi” in generale, ho cercato di trovare un punto di contatto più personale con Davis. Un punto di vista più “passionale” che musicale. Siamo così giunti alla boxe, una passione che ho in comune con Miles. Miles dedicò a Jack Johnson, primo campione afroamericano della storia, uno dei suoi dischi più belli e meno conosciuti. Ho voluto da un certo punto di vista fare la stessa operazione, ma dedicare il progetto ad un pugile per me importantissimo e dimenticato come Battling Siki, rendendogli indirettamente omaggio. Ho quindi musicato una suite in sei movimenti come i sei rounds che Battling Siki combattè contro George Carpentier, nel celebre incontro in cui conquistò il titolo di campione. In questi sei rounds ho descritto musicalmente le sei tappe fondamentali della vita di Battling Siki che si possono riassumere nei nomi delle sei città che lo hanno ospitato: Saint Louis, Marsiglia, Amsterdam, Parigi, Dublino, New York, più una “ghost-track” finale intitolata “Ritorno a Saint Louis”, che ha lo scopo di chiudere il cerchio. Ho cercato di avvicinarmi come idea al suono d’orchestra del Miles di Jack Johnson ed ho sviluppato quindi le composizioni a partire da frammenti di temi e soli che Davis suonò in dischi come ESP, Ascenseur pour l’echafaud, Jack Johnson, Live-Evil e On the Corner.



JC: Come hai scelto i musicisti che ti hanno accompagnato in questa avventura musicale?


MG: Avevo più o meno già in testa la band ideale per suonare questa musica, avendo già avuto la possibilità di lavorare con ciascuno di loro come sideman. Il pianista Bojan Z era il musicista ideale per questo progetto grazie alla sua capacità di utilizzare i suoni elettrici ed acustici creando una commistione personale e organica. Mi piace molto la sua apertura mentale e progettuale; si è infatti calato nella musica con grandissima umiltà, ma al tempo stesso con la voglia di interpretare alla sua maniera la materia compositiva. Il chitarrista Manu Codjia, come Bojan, ha questa grande capacità di far suonare il suo strumento in maniera “pulsante” e originale. Anche lui è stato di grande aiuto nella “quadratura” del suono del gruppo. La presenza di chitarra elettrica e piano era fondamentale per lo sviluppo della musica che avevo in mente e con loro credo di aver centrato il bersaglio. Inizialmente avevo pensato ad una front-line con due sax: il cubano Ricardo Izquierdo al tenore e il francese Jean Charles Richard al soprano, perchè mi spaventava l’idea di inserire un trombettista in un concerto “dedicato a Miles”. Temevo che il pubblico avrebbe automaticamente cercato i legami “stilistici” con l’originale. Purtroppo però il sopranista che volevo non era disponibile ed ho quindi cominciato a guardarmi intorno per trovare una sostituzione artisticamente necessaria. Ho così pensato al giovanissimo trombettista Renaud Gensane, perchè ha una voce molto diversa da quella di Miles, con un’espressività più rude e frammentata ma che mi ricorda in maniera più filtrata l’esplosività “rugosa” del Miles degli anni ‘70. Con il sassofonista Ricardo Izquierdo ho già lavorato nella band di Remi Vignolo, ed ho apprezzato la sua capacità di adattamento alla musica, lo straordinario fraseggio e la capacità di suonare “con” e non “sulla” ritmica. Il batterista Remi Vignolo merita un capitolo a parte: in precedenza contrabbassista di successo, per sua esigenza artistica ha cambiato strumento quattro anni fa adottando la batteria e con grandissima determinazione e impegno è ora diventato uno dei batteristi più richiesti in Francia. Un vero combattente, chapeau!



JC: Hai scelto di inserire dei dialoghi immaginari tra il coach e Siki, tra un brano e l’altro della suite. Come è nata questa idea?


MG: Mentre leggevo la spledida biografia su Battling Siki scritta da Jean Marie Bretagne, ispirato dalla vicenda riguardante il match Siki contro Carpentier, ho sentito il bisogno di scrivere una storia. Ho immaginato questo personaggio tormentato nel suo angolo, rimbrottato da un allenatore falsamente complice, ed ho cercato di descrivere lo stato d’animo di un uomo in bilico fra il bieco compromesso, il dolore fisico, e questa irrefrenabile voglia di non lasciarsi andare, affrontando il proprio destino a testa alta. Non tutti sanno cosa cela questo leggendario match: sembra infatti che il clan di Georges Carpentier, campione in declino, mondano e razzista, si fosse messo d’accordo con l’allenatore di Battling Siki per convincerlo ad andare giù al quarto round così da mantenere il suo titolo, e guadagnare forti somme dagli scommettitori. Sembra anche che Battling Siki, durante gli allenamenti, sia stato ferito da uno “sparring partner” più concentrato alla sua costola sinistra che non a boxare. Ho cercato quindi, di rendere questo clima di incertezza nel racconto e di dare una dimensione del disagio fisico e psicologico che Siki affronta durante l’incontro. Per fare questo ho chiesto ad un attore africano, Adama Adepoju, di incarnare Battling Siki ed ho registrato la sua voce. Ho cercato poi invano una voce che potesse incarnare l’allenatore, e dopo due defezioni mi sono deciso io stesso a registrarmi in questo ruolo. Ho poi mixato i suoni, le voci fuori campo ed ho masterizzato il tutto a casa mia. Il risultato è che il tutto è costruito come lo svolgersi di un film il cui c’è la vita del personaggio che scorre, alternata ad improvvisi flash-back che ci riportano direttamente sul ring, fra il sudore dei pugili e il frastuono del pubblico. Mi sembrava impossibile poter realizzare un progetto sulla boxe senza raccontare una storia. Quello che mi ha da sempre attratto di questo sport sono le storie umane che si nascondono dietro i pugili. Tutta la filmografia esistente sul pugilato, da Toro Scatenato a Rocky, da Lassù qualcuno mi ama ad Alì, fino a Million Dollar Baby ed il recente The Fighter, hanno da sempre affascinato più per la storia umana dei protagonisti che per i loro incontri o performance sportive. Il match in sè non è che la conseguenza e l’evoluzione della vita del protagonista, attraverso mille sacrifici, peripezie, privazioni e riflessioni. Spesso chi non ha dimestichezza con questo sport ha la naturale propensione a pensare che sia esclusivamente uno sport violento per violenti. Conoscendolo dall’interno ho scoperto tutta l’altra realtà di uno sport molto tecnico, difficile e duro. Uno sport, non a caso definito “noble art”, che forgia il suo estremo rispetto in codici precisi di cavalleresca memoria. Ho scoperto storie umane interessantissime da raccontare. Storie di contrasti, di forza e di fragilità, di ricchezza umana e povertà economica, di coraggio e di paura, di furbizia e di naïvetè, di disagio psicologico e sociale, di voglia di riscatto.



JC: La vita di Battling Siki ha compiuto una rapida parabola di successo e declino conclusasi con la sua tragica morte all’età di 25 anni. Qual è l’aspetto che ti ha colpito di più della sua storia e quale insegnamento pensi si possa trarne?


MG: Purtroppo il povero Battling non ha mai potuto veramente gustare il piacere del successo, in quanto la sua vittoria è stata dal giorno dopo dimenticata e svalutata nella sua importanza. I titoli dei più importanti giornali sportivi francesi dell’epoca intitolavano: “Battling Siki, nouveau championzè du monde” che, fondendo insieme la parola “champion” (campione) e “chimpanzè” (scimmia), creava una ambigua e tendenziosa ironia. Potete immaginare il senso dell’umorismo becero e razzista della società dell’epoca. Ma nonostante la violenza subita, il razzismo e l’avversione della gente verso le persone di colore, Battling Siki ha sempre continuato a credere in una società migliore, ha affrontato a testa alta l’ipocrisia della nostra società occidentale, l’effimera avidità e i pregiudizi, non rinunciando mai alla propria africanità e restando sempre sè stesso. Un personaggio i cui atteggiamenti stridevano fortemente nella conformista società degli anni 20, ma che potrebbe essere attualissimo anche oggi se penso alle contraddizioni della società attuale.



JC: Era la prima volta che ti cimentavi con una composizione di così ampio respiro?


MG: Si, è stata la prima in cui mi sono ritrovato a comporre un progetto tematico in cui, dall’inizio alla fine, ci fosse un disegno progettuale metamusicale, che comprendesse musica, teatro, letteratura e storia. Ho sempre composto musica e poi dato titoli alla stessa come fanno molti. Come del resto ha fatto Miles Davis per il suo disco dedicato a Jack Johnson, in cui ha messo i titoli ad improvvisazioni ed idee nate suonando con i suoi musicisti. Questa volta però, sentivo di voler fare qualcosa di diverso e che mi assomigliasse pur essendo un tributo musicale.



JC: Quali sono, secondo te, i punti in comune tra jazz e boxe?


MG: Penso che ce ne siano molti: il ritmo, il dialogo costante fatto di “call & response”, le variazioni, l’arte della “fuga”, la dura preparazione, il confronto fra i protagonisti, lo studio della tecnica, una certa abitudine alla “frustrazione” e la difficoltà ad esprimere i propri sentimenti.



JC: Sei soddisfatto di questa “prima” avvenuta durante il Bari in Jazz?


MG: Sono molto soddisfatto, nonostante ci siamo un pò allungati durante l’esecuzione dei brani. Ci sono delle cose da limare e dei dettagli da rivedere, ma nel complesso credo di aver detto la maggior parte delle cose che volevo esprimere.



JC: Pensi di farne un disco?


MG: Spero proprio di sì anche se, visti i tempi, sarà dura trovare dei partner disposti a sostenere economicamente questa iniziativa. È un progetto che meriterebbe una bella produzione e un finanziamento, che attualmente non posso permettermi di sostenere con le mie risorse. E poi mi piacerebbe fare le cose un po’ all’antica. Magari far suonare ancora il gruppo dal vivo per rodare il suono e poi andare in studio a registrare.