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Luglio Suona Bene.
Roma, luglio 2011.
Il periodo che va da metà giugno fino alla fine di luglio è quello tradizionalmente più atteso dagli appassionati di musica della capitale. E’ infatti il più ricco di festival e concerti sparsi in diversi angoli della città e, anche quest’anno, non c’è stato che l’imbarazzo della scelta anche gli amanti di jazz. Tanti e ben distribuiti difatti gli appuntamenti meritevoli di attenzioni nonostante la programmazione dell’appuntamento più importante, il Luglio Suona Bene dell’Auditorium, non abbia regalato sorprese, vedendo la presenza di grandi ex rispetto ai nomi più interessanti ma parallelamente rischiosi. Pochi anche i nomi legati al jazz, tra cui il bel duetto tra Redman e Mehldau, ma a distanza di nemmeno un anno dalla loro precedente tappa romana, ed il progetto Tea For 3 di Enrico Rava e Dave Douglas. Atteso invece il ritorno a distanza di parecchi anni di George Benson per il trentacinquesimo anno dall’uscita dell’album The Breezin’. E’ comunque un Benson lontano anni luce da quello che duettava negli anni sessanta con Jimmy Smith e si rifaceva a Wes Montgomery. The Breezin’ segnò la svolta artistica del chitarrista e gli valse ben due Grammy Award, facendolo propendere per una via più pop in cui emerse anche come cantante. Un concerto da tutto esaurito nonostante gli alti prezzi in cui, accompagnato da un quintetto di turnisti retti da una ritmica di valore formata dal basso di Stanley Banks e la batteria del giovane talentuoso Oscar Seaton, ha ripercorso oltre quattro decenni di ininterrotta e fortunata carriera. Benson si conferma un impareggiabile intrattenitore e, nei pochi ma convincenti brani strumentali, ancora uno sbalorditivo chitarrista, mentre lascia a desiderare nei brani cantati, dove non sono mancati brani popolari come Danny Boy, This Masquerade e la celeberrima Give Me The Night. Ma il suo pubblico era proprio lì per sentire e cantare queste hit ed il successo finale è stato inevitabile.
Altro successo di pubblico, a conclusione della manifestazione, lo show in grande stile portato da Vinicio Capossela in una tappa speciale del suo tour teatrale Marinai, profeti e balene. Il temerario viaggio del cantautore negli abissi condito da mitologia greca ha visto anche la presenza di numerosi ospiti tra cui il coro degli Apocrifi, le sorelle Marinetti e un ensemble d’eccezione cretese fatto di lira, liuto, oud e percussioni, oltre la consueta ciurma che l’accompagna da anni dove spiccano i nomi di stampo jazzistico di Mauro Ottolini e Achille Succi ai fiati e la batteria di Zeno De Rossi. Uno spettacolo avvincente curato nei minimi dettagli, dalla scenografia, che vedeva racchiusi i musicisti dentro il corpo di una balena, alla rivalutazione di strumenti desueti fino alle citazioni storiche e aneddoti narrati da Capossela. La scaletta segue prevedibilmente i brani racchiusi nell’ultimo album con continui riferimenti alla grande letteratura di mare ma proponendo parallelamente intriganti situazioni musicali. Nel finale, in uno show durato quasi tre ore e trasmesso in diretta sul sito dell’Auditorium, anche i brani storici con la conclusiva festa del Ballo di San Vito in un’ovazione finale che conferma Capossela come una delle nostre realtà più interessanti ed originali.
Sempre nell’ambito della stessa manifestazione, ma nella suggestiva location di Villa Adriana di Tivoli, si sono tenute altre serate di musica e balletti, tra cui l’evento principe vedeva il ritorno dopo anni di Cassandra Wilson. Accompagnata da un solido sestetto, la cantante del Mississipi si è presentata in splendida forma dando vita ad una serata di estrema eleganza. Aiutata anche dal fascino unico dell’antica villa romana, la Wilson da subito l’impressione di essere particolarmente ispirata e, dopo un’entrata da grande star, con i musicisti che l’accolgono con una lunga intro strumentale, attacca con il suo riconoscibile timbro sulle note di Come On In My Kitchen di Robert Johnson. La scelta di iniziare omaggiando una figura del blues non è affatto casuale per un’artista che ha da sempre orgogliosamente portato avanti le sue origini musicali e non facendone poi negli anni un vero marchio di fabbrica. Anche il sestetto acustico va in questa direzione comprendendo come strumento solista l’armonica a bocca di Gregorie Maret e l’uso ricorrente dello slide alla chitarra. La voce della Wilson è rimasta intatta così come la sua classe e la sua cordialità nei confronti del pubblico e soprattutto dei suoi compagni di palco ai quali concede il giusto spazio ed il meritato riconoscimento. Alla fine rimarrà una serata da incorniciare in cui, in due ore scarse vengono ripresi i grandi classici da sempre punti fermi del repertorio di Cassandra, da The Man I Love a You Don’t Know What Love Is fino alla conclusiva strepitosa versione di Time After Time.
Ricco di spunti interessanti anche il cartellone proposto dalla Casa del Jazz che ha visto tanti nomi nuovi e vecchi in un bel mix davvero vincente. Evento clou la due giorni del sassofonista di origine italiana Joe Lovano, impegnato l’11 luglio in concerto con il suo ultimo progetto Us Five ed il giorno successivo protagonista di un bel seminario su John Coltrane. Riconosciuto come uno dei più importanti sax tenori viventi, il musicista di Cleveland si è presentato con quella che è stata negli ultimi tempi una delle più brillanti novità, ossia un quintetto che vede la presenza contemporanea di due batteristi, completati dal contrabbasso del bulgaro Slalov ed il pianoforte di James Weidman. In realtà l’inizio appare un po’ confuso ed i cinque non perfettamente amalgamati soprattutto nella ritmica, con Lovano solito fiume in piena di note a prendersi per sé tutta la scena. Con il passare dei minuti però i cinque hanno trovato il bandolo della matassa proponendo rivisitazioni di Parker, con una strepitosa versione di Yardbird Suite, Monk e Coltrane, in cui si è avuto modo di ammirare il talento cristallino di un entusiasmante Francisco Mela alla batteria.
Appuntamenti di rilievo, come sempre al confine tra jazz e Africa, anche nel tradizionale festival che si tiene in quel di Villa Ada e che ha visto quest’anno la presenza, tra passato e futuro, di due figure cardini del continente africano come Mulatu Astatke da una parte e Seun Kuti dall’altra. Lo storico musicista etiope ha fatto ritorno nella capitale a distanza di pochi mesi dalla sua performance all’Auditorium sempre in compagnia degli inglesi Heliocentrics riproponendo in buona sostanza quanto aveva già fatto vedere a marzo, mantenendosi sui suoi standard fatti di contaminazioni tra diverse culture musicali. Grande impressione invece ha destato la prova del più giovane figlio dell’indimenticato Fela che, accompagnato dai fenomenali Egypt 80, ha confermato anche dal vivo quanto di buono aveva già fatto intravedere nel sorprendente ultimo album prodotto da Brian Eno From Africa With Fury.