Slideshow. Mauro Ottolini

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Mauro Ottolini.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


Mauro Ottolini: Ho due nuovi dischi in uscita. Il nuovo dei Sousaphonix e un live con un gruppo di strumenti bassi che mescola improvvisazione con la musica contemporanea dal titolo I Separatisti Bassi uscito a gennaio 2011. Il nuovo disco dei Sousaphonix si intitola The sky over Braddock ed è una colonna sonora in bianco e nero ad un romanzo di Mario Calabresi (La fortuna non esiste).



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


MO: Mi ricordo che all’età di cinque anni mio padre Antonio mi regalò una piccola fisarmonica e io iniziai a imparare alcuni brani che sentivo nei dischi di mio papà, che andavano da Fausto Papetti al tango argentino fino a Glenn Miller.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un trombonista jazz?


MO: Ho iniziato a suonare il trombone nella banda del mio paese all’età di sei anni. Mi diplomai al conservatorio nel 1993, e nel 1994 vinsi l’audizione e diventai trombonista nell’Orchestra dell’Arena di Verona, dove rimasi fino al 2005. Ho sempre ascoltato jazz, rock, raggae, free e musica a 360 gradi, ma dopo avere vissuto l’esperienza da “orchestrale” capii che la mia strada era un’altra. L’anno dopo essere entrato in orchestra decisi di mantenere questo posto di lavoro che mi avrebbe aiutato a sostenere gli studi del jazz. Studiai con vari insegnanti, a Los Angeles con il maestro Bill Booth, in Italia con Mario Pezzotta, con Francesco Bearzatti e poi con Franco D’Andrea al conservatorio di Trento, dove mi diplomai.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


MO: Yes! Jazz is freedom.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


MO: Per me il jazz è la mia vita, dopo mio figlio Morris.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associo alla musica jazz?


MO: Libertà, imprevedibilità, sorpresa, sincerità, colore, amore, stile di vita, sofferenza…



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


MO: Credo che la parola Jazz continuerà ad esistere ed il significato principale sarà sempre quello di contaminazione. Quello che cambia sono gli “ingredienti del jazz”. Oggi giorno la parola jazz, comprende musica popolare, musica contemporanea, improvvisazione, pop, blues, rock e chi più ne ha più ne metta. La cosa più difficile sarà aprire il concetto di improvvisazione, ossia creazione momentanea, a collettivi di strumentisti che non si limitano a pensare esclusivamente alle note ma riescono ad interagire tra loro in tempo reale con significative variazioni timbriche, dinamiche, ritmiche.



JC: Tra i molti dischi che hai fatto ne trovi uno a cui sei particolarmente affezionato?


MO: No, nessuno. Credo però mi si siano aperti gli occhi dopo avere registrato il disco Ecologic Island prodotto dall’etichetta Artesuono di Stefano Amerio. Francesco Bearzatti al sax e clarinetto, io al trombone e alla tuba (per la prima volta alla tuba) e U.T. Gandhi alla batteria.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nel trombone (e non)?


MO: I miei maestri sono stati tanti, e lo sono tutt’ora. Al primo posto ci metto Lorenzo Rigo, che mi ha insegnato la tecnica dello strumento, e poi ci sono tutti quelli che ho ascoltato nei dischi, J.J. Johnson, Curtis Fuller, Kid Ory, Jack Teagarden, Ray Anderson, Trummy Young, Roswell Rudd, Steve Turre, Frank Lacy e molti altri.



JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


MO: Credo debba ancora arrivare.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


MO: Devo dire che non saprei chi mettere al primo posto, ma sicuramente Enrico Rava, Franco D’Andrea, Gianluca Petrella, Antonello Salis, Daniele D’Agaro, Francesco Bearzatti, e anche molti giovani musicisti di grande talento con i quali ho diviso molte belle esperienze come Giovanni Guidi, Dan Kinzelmann, Daniele Tittarelli, Vincenzo Vasi, Zeno De Rossi, Fulvio Sigurtà, Enrico Terragnoli, Danilo Gallo, Stefano Senni e molti altri.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


MO: Una svolta decisiva. Musica ed immagini. Voglio sperimentare la mia musica con delle storie immaginarie che diventano video sperimentali. Un tutt’uno. Già nel disco dei Separatisti Bassi c’è già una prima traccia di questo, un breve cortometraggio di sei minuti, realizzato in collaborazione con Alberto Fasulo e Flavio Massarutto, intitolato The Break. Da questo esperimento è scattata la scintilla che m’ha fatto finalmente aprire una nuova strada. Ora continuerò realizzando un solo live con immagini di me stesso e la realizzazione di alcuni video sulle mie musiche.