Foto: da internet
Slideshow. Marilena Paradisi.
Jazz Convention: Così, a bruciapelo, Marilena, puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?
Marilena Paradisi: Rainbow Inside nasce da una ricerca che è nata a maggio del 2008 al convegno che si è tenuto alla Sapienza, dal titolo appunto “Il Suono E L’Immagine”, dove io e Arturo Tallini, duo già consolidato in questo aspetto diciamo improvvisativo-estemporaneo, abbiamo dato voce a quindici quadri di quattro artisti italiani, proiettati su un grande schermo. Ne sono usciti suoni così interessanti, così nuovi per me, che ho voluto ripetere l’esperimento col pittore romano,Alessandro Ferraro, artista che io amo particolarmente. I dodici acquerelli che ha dipinto appositamente per noi, sono meravigliose partiture colorate, che ci hanno coinvolto e ispirato in modo travolgente. Una esperienza che devo dire, non sento conclusa, è nato qualcosa di nuovo in me, e continuerò su questa strada… c’è ancora molto da dire.
JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
MP: Mozart, Bach, Chopin, che ascoltavo da piccolissima – ahimè, invece di giocare con la Barbie. Per questo mi portarono dallo psicologo: non ero una bambina “normale”… (e scoppia una sonora risata – n.d.r)
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante?
MP: Il sentirmi assolutamente libera dentro. Cantare era la libertà, lo potevo fare come e quando volevo, e fino a ottant’anni… anzi la voce diventa sempre più bella! Sì, diciamo che ho sentito una affinità profondissima, forse corporea, quando canti arrivi ad una fusione tale col corpo, che diventi “il suono”: una emozione bellissima! E poi tante altre cose troppo lunghe qui da raccontare…
JC: E a scegliere il jazz piuttosto che altre musiche?
MP: L’improvvisazione: è questo che mi ha sempre affascinata e che mi coinvolge fino al midollo.
JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?
MP: Se significa improvvisazione forse sì, ma sai improvvisavano anche Chopin, Bach, Scelsi, Cage. Secondo me Jazz si riferisce ad uno specifico periodo storico, e quindi ad uno specifico “colore espressivo”.
JC: Ma cos’è per te il jazz?
MP: Come ti dicevo, Guido, per me l’imput che differenzia il jazz dalle altre musiche è indubbiamente l’uso del tempo, e l’uso di una improvvisazione che però è molto ben strutturata, è proprio una vera forma di pensiero, che deve però rientrare in delle regole precise, tecniche, armoniche, culturali, storiche e sociali.
JC: E l’improvvisazione?
MP: Sai, Berio diceva che l’improvvisazione non ha mai sotto un vero pensiero musicale. Io non sono assolutamente d’accordo. Certo, se hai un pensiero dissociato e sei senza affetti, difficile che farai una bella musica, ma ti assicuro, anche se la leggi bella scritta davanti a te, non sarà bella, non trasmetterà un bel niente! Se improvvisazione la intendi – come Berio, lo dice in un libro che è una sua lunga intervista – solamente alla sessantottina, cioè “facciamolo strano”, facciamo casino, certamente ha ragione, a dire che sotto non c’è un vero pensiero musicale .Ma dato che io penso che la musica viene da una parte profonda dell’inconscio e non dalla razionalità, non da regole precise, ma dallo studiare tanto e poi lasciare uscire il suono. Charlie Parker diceva “impara tutto quello che puoi sul tuo strumento e poi dimenticalo”. La parte inconscia non è distruttiva, ma è bella e piena di creatività.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
MP: Un po’ ti ho già detto, ma indubbiamente associo così al volo, Rapporto Umano, Sentire e non Capire, Lasciare che le cose accadano.
JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?
MP: Domanda difficile, sai anche perché è un momento storico che tutte le arti sono minacciate da una superficialità che sta facendo morire il bello! Lo dico nelle note di copertina. Rainbow Inside è una mia denuncia, una mia ribellione, un inno alla libera espressione.
JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?
MP: Il primo I’ll never be the same, con Eliot Zigmund, Pietro Leveratto, Paolo Tombolesi (Philology, 2002). Disco di esordio, fatto solo col cuore, un impossibile che invece è diventato realtà, una grande realizzazione!!
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella voce, nella musica, nella cultura, nella vita?
MP: Sono una persona umile che penso di dover studiare ancora tanto e che ho molte cose ancora da realizzare. Sono fondamentalmente autodidatta, anche se da un paio di anni studio con la grandiosa Michiko Hirayama, la più grande interprete di Giacinto Scelsi, che mi ha completamente rinnovato la voce, il suono e l’improvvisazione. Adoro Cage, Scelsi, Bach, Ligeti, la Callas, naturalmente Sarah, Ella, Billie, ma anche Bill Evans, John Coltrane, Miles.Davis… Tanti tanti maestri: ho ascoltato tanto.
JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
MP: Quest’ultima registrazione su dodici quadri, mai visti prima. Una sfida che pensavo impossibile, e invece ne sono venuti fuori 55 minuti di musica completamente improvvisata.
JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
MP: Tanti… e pochi! nel senso che amo quei musicisti che hanno una grande umiltà, che ti fanno sentire sempre al meglio, che ti tirano fuori le cose più belle, che hanno un senso profondo della musica e che hanno una grande umanità.
JC: È difficile essere donna nel mondo del jazz?
MP: È difficile essere donna nel mondo e basta. In generale la donna da Platone in poi, logos occidentale eccetera, cioè duemila anni, come identità non esiste. Per non parlare delle influenze nefande del cattolicesimo, che annienta le donne. Fare jazz è solo una aggravante!
JC: La bellezza fisica ha influito nella tua carriera?
MP: Ma sai, è già così tanto difficile pensare di fare il musicista in Italia, addirittura un musicista che fa improvvisazione estemporanea. È un campo troppo difficile, che ti costringe a studiare tanto e anche, ad avere un certo rapporto profondo con le cose e con gli altri. Sono molto molto esigente e mi si legge in faccia. Bella o brutta, se ti realizzi dipende dalla tua identità, da come ti muovi, da quello che esprimi.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
MP: Come dicevo prima, Rainbow Inside ha provocato un terremoto in me. Voglio continuare e presto registrerò il mio sogno nel cassetto… io in voce sola!