El Gallo Rojo – 314-40 – 2011
Zeno de Rossi: batteria, balafon, chitarra preparata
Alfonso Santimone: pianoforte, vibrafono, synth, Fender Rhodes, Farfisa
Silvia Donati: voce
Vincenzo Vasi: voce, theremin
Francesco Bigoni: sassofono tenore
Daniele D’Agaro: sassofono tenore,
Nicola Fazzini: sassofono contralto
Achille Succi: clarinetto, clarinetto basso
J. Kyle Gregory: tromba
Gerhard Gschlössl: trombone
Mauro Ottolini: trombone, tube
Paolo Botti: banjo, viola
Alessandro “Asso” Stefana: chitarra
Enrico Terragnoli: chitarra, chitarra basso,
Stefano Senni: basso
Danilo Gallo: basso
Simone Padovani: percussioni
Claudia Bidoli, Pietro Senni, Nina Browarnik: voci
Con questa doppia fatica del collettivo di musicisti guidato da Zeno De Rossi l’idea è quella di rendere un omaggio delicato e intelligente alla figura del batterista Shelly Manne. Tutto ruota qui attorno alla spinta a mescolare elementi e tradizioni musicali differenti, proprio come lo stesso Manne avrebbe fatto.
In particolare il primo dei due dischi qui raccolti offre una rappresentazione metaforica della carriera del batterista e delle sue innumerevoli aperture: l’andamento all’inizio di questa prima ora di ascolto è prevalentemente swing, seppure anche nella traccia di apertura (Sheldon dello stesso de Rossi) si tenda a mescolare al classicismo jazzistico elementi più moderni. Man mano che l’ascolto procede aumentano anche l’atmosfera di contemporaneità, andando la musica per così dire svecchiandosi: emblematica per questa evoluzione potrebbe già essere la rilettura di Jubilation T. Cornpone, costruita attorno ad un andamento funky decisamente accattivante. Punto di forza di questa prima parte in un’ottica strettamente musicale è senz’altro l’ottimo lavoro contrappuntistico svolto dai fiati, tra i quali sono da nominare almeno Achille Succi, Mauro Ottolini e Daniele D’Agaro. A farla da padrona è però soprattutto – naturalmente – la batteria del leader, che distribuisce qua e là una varietà di timbri e colori alla quale, del resto, De Rossi ci ha già abituati da molti anni. Ulteriore chicca dell’album è la voce di Silvia Donati, sempre perfetta in tutte le sfumature che la cantante riesce a produrre, in questo perfettamente in linea con la ricchezza della batteria di De Rossi e, più in generale, del concept stesso del disco. Concept che, nel rappresentare l’evoluzione e le derive dello stile di Manne, ha il suo culmine nella linea di basso completamente elettronica accompagnata dalla chitarra elettrica nella brillante rilettura di Fever (appunto una delle variazioni sorprendenti della voce della Donati), con una sorta di piccola parentesi – meno di un minuto – nella autografa Queen of Humus che chiude il primo disco, dove De Rossi si cimenta al balafon e Alessandro Stefana programma il ring modulator.
Questa grande ricchezza stilistica prosegue nel secondo disco, già annunciata in modo programmatico dalla traccia di apertura, dove a farla da padrona è il brillante stile pianistico di Alfonso Santimone, che evolve poi in un umoristico dialogo tra contrabbasso, batteria e il pianoforte stesso, che viene utilizzato più che altro come strumento a percussione. Tra Africa dello stesso Manne (con il theremin di Vincenzo Vasi), My Manne Shelly di Henry Mancini e la conclusiva Take your clothes off di Zappa si chiude un progetto ambizioso e ben riuscito da parte di una delle realtà più convincenti del jazz italiano, dedicato ad un personaggio troppo spesso lasciato in secondo piano nella storia di questo genere musicale