Foto: Gianni Cataldi
Wayne Shorter Quartet @ Bari in Jazz 2011.
Bari in Jazz, Showville. Bari. 13.10.2011.
Wayne Shorter: sassofoni
Danilo Perez: pianoforte
John Patitucci: contrabbasso
Brian Blade: batteria
L’annuale edizione del Bari in Jazz che, come già riportato, quest’anno era dedicata al ventennale dalla scomparsa di Miles Davis, ha avuto una inusuale ma attesissima coda autunnale. Il festival pugliese è infatti andato in pausa estiva solo per attendere in religiosa attesa il passaggio in Italia di uno dei discepoli più importanti del commemorato Dark Magus, divenuto a sua volta leader celebratissimo ed influente. Stiamo parlando di Wayne Shorter e del concerto che il suo straordinario quartetto ha tenuto a Bari, inaugurando il suo breve tour italiano.
Il sassofonista di origine afrocubana è un musicista che non necessita certo di presentazioni, avendo contribuito, sin dai suoi esordi, ad ergere veri pilastri della musica jazz: prima la militanza nelle fila dei Jazz Messengers di Art Blakey e in quelle del quintetto classico di Davis; poi l’evoluzione elettrica con i Weather Report e i colori caldi delle sue escursioni nella musica latina; infine il consolidamento attraverso numerose e trasversali collaborazioni che lo hanno portato a dar vita, nel 2000, a questa ultima, eccellente incarnazione, che lo vede alla testa di un quartetto completato da John Patitucci al contrabbasso, Danilo Perez al pianoforte e Brian Blade alla batteria.
Una limitata discografia, esclusivamente dal vivo, Footprints Live! (2002) e Beyond the Sound Barrier (2008), testimoniano quanto la dimensione live sia la privilegiata piattaforma espressiva del quartetto; caratteristica che rende indispensabile non mancare un concerto della band, da considerarsi a tutti gli effetti indispensabile testimonianza di un nuovo step evolutivo nella loro espressione musicale.
In un auditorium da tutto esaurito, sono state le note provenienti dal pianoforte di Perez ad aprire il concerto: qualche accordo armonicamente ambiguo, a cui si sono uniti poco dopo Patitucci e Blade, hanno azionato il progressivo processo di avviamento di un efficiente sistema ritmico, nel quale è Shorter l’ultimo ed imprescindibile ingranaggio a completare il ciclo sonoro. Esordisce suonando un paio di note sul tenore, ma non sembra soddisfatto e passa al soprano, per poi tornare ancora al primo. Sembra cercare qualcosa sin da subito.
Una delicata figurazione all’archetto di Patitucci dà a Shorter il tempo di indugiare. Sembra attendere che la musica giunga a lui, affinchè possa essere trasmessa ai suoi membri, come un ripetitore che diffonde onde captate da lontano. Dà molto spazio ai membri del suo quartetto, mirando prevalentemente a tracciare linee guida e sfuggenti traiettorie, attraverso i suoi misurati interventi. Vicino alla soglia degli ottant’anni, Shorter ha raggiunto quel dono della sintesi, e del fare tanto con poco, che spesso raggiungono i grandi musicisti lungo il processo di raffinazione della propria arte. Alla stessa maniera, durante la conferenza stampa che ha preceduto il concerto, Shorter ha parlato con la parsimonia con il quale dispensa i suoni.
Pesa le parole, prende le giuste pause, e distribuisce bene gli accenti. Quello che dice è importante tanto quanto il modo in cui lo fa.
La scenografia luminosa che sovrasta il quartetto, semplice ma d’effetto, cambia, facendo comparire giganteschi fiori di loto gialli, a ricordarci la vocazione di Shorter per la spiritualità e le religioni orientali. Il fatto che abbia da tempo abbracciato il buddismo come sua confessione, alimenta l’aura di misticismo che sembra avvolgerlo. Ad un certo punto la musica ha un sussulto, come un impennata. Il volume sale. È solo uno dei tanti cambi di marea di una musica che sembra muoversi seguendo misteriose influenze e magnetismi universali in continuo divenire, lontana da qualunque concetto di genere o categoria.
“Tutta la musica è da sempre stata strettamente connessa. Siamo stati noi, nel tempo, a reciderne i numerosi fili che la tenevano insieme, incanalandola in correnti e stili”, ha dichiarato ancora Shorter in conferenza stampa. Una affermazione che trova conferma quando gli viene chiesto con quale musicista italiano gli piacerebbe collaborare. Il musicista risponde, sorprendendo tutti: Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini e Michelangelo Benedetti. Per lui, suonare la loro musica è come suonare con loro, seppur questi grandi musicisti non siano più tra noi.
Ad un certo punto, tutto si fa quieto, grazie ad una serie di accordi che Perez porge a Patitucci. Non si capisce quale sia quella cosa impalpabile che fa cambiare il corso della musica, fatto sta che tutti i membri sanno sempre cogliere quando lo farà. Si dipana una delicata e struggente ballad eseguita al soprano, da svariati anni immancabile controparte al tenore di Shorter. Quando invece la voce torna grossa, il sassofonista si lancia nella mischia con fendenti al soprano che percorrono la materia sonora, scuotendola alla radice. La batteria si fa nervosa e il suono che Blade tiene per tutta la serata è tagliente, secco ed incisivo. Il leader si prende un mare di applausi alla fine della prima parte e lo stesso Perez si congratula con lui.
È Patitucci a riprendere il filo del discorso, accompagnato prima da Blade e poi da Perez. La scenografia cambia ancora: questa volta è uno strano groviglio luminoso a a vorticare sulle teste di Shorter e compagni. L’acustica della sala è molto buona. Non ci sono fastidiosi riverberi e il suono arriva fino alle ultime file, limpido ed intatto. Prima di riprendere in mano il suo soprano, Shorter fa un gesto incomprensibile in direzione della band, poi scocca una nota secca e forte con il soprano, prima di tornare ancora al tenore. Sembra un segnale. Si sono detti qualcosa che a noi è sfuggito. Che stia usando il misterioso codice fatto di segni sonori ideato da Davis? Spesso ci si muove bilanciandosi su un paio di accordi, sufficienti però a tracciare un percorso sonoro che sovente prende ad incedere con maestosità. Ancora una volta la marea sale e come alla fine della prima parte, la musica cessa con una brusca battuta di arresto.
La terza parte si apre con dei giochi timbrici da parte dei quattro: Shorter fischietta una melodia nel microfono, Perez armeggia nel ventre del suo pianoforte e lascia risuonare con forza accordi che Shorter inchioda nell’aria, centrandone le note di riferimento. Segue un brano introdotto da un grappolo di accordi cadenzati di Perez in cui Blade ci regala ancora un performance asciutta, ma impetuosa. Perez, Patitucci e Blade sembrano tasselli di un mosaico che smarritisi, festeggiano l’essersi ritrovati, producendo un incastro ritmico di rara bellezza. Il rapporto che questa formazione ha con il suono ha il valore di un rito in cui è Shorter ad esercitare il ruolo di grande officiante.
“La musica ha da sempre vissuto un conflitto con le grandi major discografiche, che contrappongono l’interesse economico all’onestà intellettuale di chi invece la musica la fa per una propria urgenza artistica. Tuttavia essa necessita, a volte, di quella resistenza. Un po’ come l’aria che inizialmente si oppone al decollo di un aereo, ma che in seguito diventa fondamentale per la spinta che lo solleverà.
Terminato il concerto, i quattro tornano per ben due volte sul palco, consegnandoci altri frammenti di un’esperienza suggestiva e straniante. Un percorso musicale attraverso il quale, Shorter conferma la sua vitale capacità di dettare nuove direzioni sonore, portando avanti quella ostinata inclinazione, probabilmente ereditata dal suo vecchio leader, di scrutare verso il futuro.