Parco della Musica Records – MR 026 CD – 2011 Open on Sunday è un disco doppio che riassume l’attività concertistica tenutasi in diversi giorni da la PMJO. L’orchestra residente del Parco della Musica è parte di un progetto a lunga scadenza, che raccoglie un nutrito gruppo di musicisti guidati dal sassofonista e direttore Maurizio Giammarco. Nata nel 2005, l’orchestra tiene concerti ogni mese esibendosi la domenica. Il disco è stato registrato durante alcuni giorni di concerti a gennaio del 2009. Undici delle dodici composizioni originali presenti sono firmate dai tre arrangiatori che seguono da sempre l’orchestra e sono Mario Corvini, Maurizio Giammarco e Pino Jodice. A chiusura del disco c’è l’ellingtoniana It Don’t Mean a Thing.
Maurizio Giammarco: direzione, sax tenore
Gianni Oddi, Daniele Tittarelli: sax alto e soprano, clarinetto, flauto
Gianni Savelli, Marco Conti: sax tenore e soprano, clarinetto, flauto
Elvio Ghigliordini: sax baritono, clarinetto basso, flauto
Fernando Brusco, Claudio Corvini, Giancarlo Ciminelli, Aldo Bassi: tromba, flicorno
Mario Corvini, Massimo Pirone, Luca Giustozzi: trombone
Roberto Pecorelli: trombone basso, tuba
Pino Iodice: pianoforte, fender Rhodes
Luca Pirozzi: contrabbasso, basso elettrico
Pietro Iodice: batteria
La PMJO è un’orchestra duttile che nel corso di questi anni si è esibita con importanti musicisti del panorama jazz mondiale, ma non ha disdegnato performance con artisti di altro profilo musicale. E’un ensamble che si rifà al modello classico delle big band ma il suo approccio è meno ortodosso, più estroverso e fantasioso, aperto anche a linguaggi che vanno oltre il jazz. La PMJO sta tra la musica di Maria Schneider e le band del nord europea. L’iterazione tra i musicisti funziona. L’apporto dei solisti è efficace e le esecuzioni sono ampie, ricche di timbri e colori. All’ascolto si riceve una sensazione di compattezza sonora, efficacia esecutiva e, soprattutto, piacere di suonare. Basta citare, a conferma di quanto detto, alcuni pezzi come il dinamico e scoppiettante Blubber; il cupo e metropolitano Red Wine, scolpito in profondità dagli interventi della tromba; l’insistente e ostinato Blues and Violets; il ritmo amerindo di Call; lo strano e mutevole funky di Aires Pics; il sofisticato e avvinghiante Vortex Waltz; e per finire la bella e attualizzata versione di It Don’t Mean A Thing.