Slideshow. Andrea Rossi Andrea.

Foto: da internet










Slideshow. Andrea Rossi Andrea.


Jazz Convention: Che effetto fa essere considerato un jazzista del mondo odierno?


Andrea Rossi Andrea: All’interno dei giochi identitari per la definizione dei ruoli verso la mia persona, preferisco la parola “jazzista” subordinata a quella di “artista”. “Artista” è sostantivo sufficientemente svuotato, generico. Generico da permettere in paradosso d’essere portatore di ampiezze e complessità nelle quali mi ritrovo. È importante, inoltre, la critica abbia di massima compreso tali aspetti, sottolineandoli più volte.



JC: Qualche esempio in tal senso?


ARA: Un esempio mi sembra possa essere la sintesi di Paolo Peviani su All About Jazz: «Andrea Rossi, artista cui la definizione di musicista (e forse qualsiasi definizione) va molto stretta. Oltre che bassista, il nostro è infatti anche artista visivo, docente, autore che ama soprattutto muoversi attraverso i contesti ed i cambi di ruolo, stratificando le proprie esperienze ed arricchendole con quelle dei propri compagni di viaggio». E vedere di nascosto l’effetto che fa … [ride]



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


ARA: Ne ha molti, talvolta conflittuali. È un lemma assai paradigmatico delle dialettiche della globalizzazione e delle ideologie.



JC: Cos’è per te il jazz?


ARA: Il jazz, per me, abita uno dei luoghi dell’Arte. Romano Gasparotti, filosofo attento, ha scritto: «Sono rimasto molto impressionato dalla totalità della ricerca e dell’operazione artistica che Andrea Rossi Andrea sta sperimentando. Innanzitutto mi piace moltissimo il suo sound “basso infinito” e poi la musica che suona presenta una stratificazione incredibile – ma sempre armonica – di influenze e componenti; vi si riconosce certamente la lezione di Miles dalla svolta di In a silent way, ma anche la traccia dei Material e poi quella di certo british progressive radicale alla Henry Cow assieme ad echi orientaleggianti e infine l’elaborazione di certa musica colta del ‘900 sulla linea Schoenberg-Berg-Webern sino a Luigi Nono. Il tutto non all’insegna della mera contaminazione postmoderna, ma nell’orizzonte dello spirito jazz – quello vero, però! – ossia della elaborazione, declinazione e rifusione e reinterpretazione senza limiti e confini della musica del mondo (colta, non colta, pop, etnico-folk ecc.). Beh, pur con alcuni riposizionamenti, non posso che aderire.



JC: Cosa rappresenta per te lo strumento che hai scelto di suonare? E quali strumentisti ti hanno maggiormente influenzato?


ARA: Nell’afflato romantico: il basso elettrico per me è stato ed è Amore. Difficile poi, davvero, rispondere alla seconda parte della domanda: credo di aver captato influenze da alcuni strumentisti, compresi quelli da me detestati o a me “indifferenti”, con modalità non riconducibili ad una semplice lista a decrescere.



JC: Tra i molti dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


ARA: I miei lavori (non solo quelli “musicali”) sono parti di un unico progetto, sicuramente leggibili nella loro individualità ma al contempo elementi di un tutto. Come tavole di un polittico. Ecco un orizzonte della mia affezione.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri non solo a livello musicale?


ARA: Ho imparato da ognuno e da ogni ambito abbia avuto fortuna o sfortuna di relazionarmi. Sotto questo profilo fondamentali sono stati, e continuano ad esserlo, gli studi e le frequentazioni dell’Arte Visiva, della Letteratura, della Filosofia e della Musica.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


ARA: Tutti quelli che mi convincono, non necessariamente per gli stessi motivi: sono molto aperto ed interessato alle personalità più differenti. Nel circuito jazzistico italiano devo in ogni caso almeno citare, con riconoscenza sommata a stima, Luca Bonvini, Daniele Cavallanti, Stefano Pastor, Tiziano Tononi.



JC: I tre dischi di jazz (belli, amati, fondamentali) che ti porteresti sull’isola deserta?


ARA: Accetto il ludo (non il lodo) con avvertenza “fra un’ora potrei mutar l’idea”. Autoritraendomi in stereotipo caricaturale, usando il solco della tradizione afro-americana, rigorosamente in ordine alfabetico, porterei con me gli spiriti di Albert Ayler, il libero jazz di Ornette Coleman e, per unguento apotropaico, il viaggiatore misterioso dei Weather Report.



JC: Mi racconti il primo ricordo che hai della musica?


ARA: Probabilmente non è il primo ma, fanciulletto, sono stato letteralmente risucchiato dalle frequenze del basso di Billy Cox, un paesaggio ineffabile, difficile da dire, totalmente seduttivo.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


ARA: Gli stessi per cui mi sono scoperto artista in senso lato. Tra questi non sono all’ultimo posto le domande esistenziali ed i tentativi di risposte, le inquietudini.



JC: Come definiresti il jazz?


ARA: Trovo arduo ritagliare una risposta adeguata in poche righe. Ci si trova sovente negli stessi difficili problemi dell’Estetica. Sgombro il campo.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


ARA: Un’associazione, meglio, un coacervo di concetti, idee, sentimenti luminoso ed umbratile come la vita, dove ogni cosa può trovare spazio specifico ed essere vita.



JC: Come vedi, in generale, il presente della musica jazz?


ARA: Dipende dai punti d’osservazione. Le luci ed ombre del jazz attuale sono inevitabilmente legate a quelle del presente planetario.



JC: Cosa stai facendo ora a livello musicale?


ARA: Procedo nel percorso di Ground Plane Antenna. A questo proposito, sono felice dell’uscita di due DVD Andrea Rossi Andrea Ground Plane Antenna: Lišnij celovék pubblicato dalla galleria Neon Cmpobase e ¿A cuantas paradas de acquì? da Splasc(H) Records.



JC: Quali sono i tuoi progetti musicali per il futuro?


ARA: Concerti in trio con Cavallanti e Tononi, in duo con Stefano Pastor ed ancora in trio con Stefano e George Haslam. Alcune performance in solo. È poi in cantiere la realizzazione di un evento multimediale accanto al filosofo Romano Gasparotti. Sto iniziando la produzione di un nuovo DVD dove, fra le altre, saranno documentate proprio le mie cose con Haslam e Pastor degli ultimi due anni.